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monica Morandi
Bisogna restituire allo stato la sua centralità e cosa questo vuole dire esattamente
Perché tutto questo cambi, lo stato deve recuperare la sua centralità e restaurare il primato della politica sull’economia. Una politica, cioè, svincolata dalle mere logiche di mercato, che metta in primo piano i cittadini e il loro benessere, che recuperi quel connubio tra economia e responsabilità sociale in auge nel periodo che è andato dalla fine della seconda guerra mondiale alla fine degli anni ’70 e che era caratterizzato da alti standard di vita anche per i lavoratori.
Che obiettivi deve avere un’economia responsabile? L’economia reale deve poter crescere e ci deve essere benessere diffuso per i suoi cittadini, che devono poter vivere una vita degna, deve tendere alla piena occupazione o comunque preoccuparsi della disoccupazione più di quanto si preoccupa dell’inflazione, le tasse devono essere ragionevoli sia per i privati che per le imprese, perché, e su questo aveva ragione Milton Friedman, tassazioni oppressive producono l’effetto di incentivare l’evasione o lo spostamento di sedi legali e operative in paesi esteri con regimi fiscali più favorevoli. Beninteso, un’economia giusta non deve avere come obiettivo cancellare ogni differenza sociale, in modo che tutti abbiano lo stesso reddito. Questo, oltre ad essere irrealistico, è ingiusto perché la meritocrazia che porta una persona ad essere premiata, anche economicamente, per le sue capacità è un valore che ogni società giusta deve riconoscere. Ma il divario tra i ceti alti e i ceti inferiori non può essere quello esistente oggi, un trend peraltro in costante aumento grazie alle politiche neoliberiste.
Come realizzare questo? Un recupero delle politiche keynesiane che controbilanci lo strapotere neoliberista attuale è il primo punto di partenza. Viviamo in un periodo di recessione a seguito delle pesanti crisi del 2008 e 2010-11, che saranno ulteriormente aggravate dagli effetti nefasti dello scoppio della pandemia su scala globale di questi mesi. I tassi di crescita delle economie mondiali negli anni si sono progressivamente abbassati, persino quelli cinesi sono recentemente diminuiti.
In situazioni simili il neoliberismo ha saputo rispondere solo stringendo ancora di più il cappio attorno al collo dei cittadini, attuando misure restrittive dell’economia come l’imposizione nei vari paesi dell’obbligo del pareggio di bilancio, come il focus rigido e cieco sull’inflazione e sulla stabilità dei prezzi e come la concessione di prestiti agli stati condizionati all’introduzione di pesanti misure di austerity che vanno a contrarre ancora di più la domanda in un’economia già al collasso. Tutto questo, lo abbiamo visto, ha avuto come effetto un peggioramento del tenore di vita della popolazione.
In particolare, l’uso delle sole politiche monetarie (controllo dell’inflazione e della stabilità dei prezzi tramite il controllo dell’offerta di moneta e dunque del credito) come strumento contro le crisi economiche – uno dei capisaldi dei neoliberisti della Scuola di Chicago – ha dimostrato di aver fallito. Lo stesso Friedman negli ultimi anni della sua vita sembra aver rinunciato al monetarismo. In un’intervista al Financial Times del 7 giugno 2003 ha ammesso: “l'uso della quantità di moneta come obiettivo non è stato un successo e oggi non lo sosterrei con la stessa forza con cui l'ho fatto in passato”. (qui il link a The Guardian che riprende la notizia)
Le teorie di Keynes, al contrario, che sostengono la necessità di misure espansive anziché restrittive in situazioni di recessione, hanno dimostrato di poter dare una spinta propulsiva all’economia: lo stato deve intervenire per aumentare la spesa pubblica, sostenere la domanda, sostenere le imprese e favorire la piena occupazione tramite lo strumento del debito (spesa a deficit o deficit spending).
Più in generale, sul piano monetario lo stato deve svincolarsi dalla dipendenza dalle banche centrali e dal sistema bancario, con cui deve continuare a collaborare ma da cui non può più farsi dettare l’agenda. Deve poter decidere sull’emissione di moneta e deve poter prendere tutte le altre misure di politica monetaria in modo autonomo o comunque, nel caso di collaborazione con le autorità monetarie, deve poter esercitare la scelta finale (e assumersi la responsabilità che ne consegue) se adottare certe misure oppure no.
L’euro è una moneta che gli stati dell’eurozona prendono a prestito a condizioni stabilite dai mercati che fanno gli interessi degli istituti finanziari e non della popolazione. Occorre riappropriarsi della sovranità monetaria e sottrarla all’autonomia del sistema bancario. Questo, soprattutto, deve essere un punto di non ritorno.
Serve una moneta sovrana e non a debito, in modo che la funzione di emettere la moneta torni sotto il controllo dello stato, che la userà a seconda degli obiettivi che si pone. Obiettivi che non devono essere corrotti dall’urgenza della massimizzazione del profitto economico per le élite, ma devono consistere di progettualità e visione per il futuro, anche a lungo termine, e avere come substrato fondamentale i più nobili valori della democrazia e della giustizia sociale. Come diceva Abraham Lincoln, che «un governo del popolo, dal popolo, per il popolo non scompaia dalla terra».
Ma attenzione: non bisogna scadere nell’errore di ritenere il capitalismo un nemico. Ad essere male non è il capitalismo in quanto tale, ma il capitalismo sfrenato, ossia senza freni, senza limiti, è il laissez-faire, che ha trasformato il mondo in una giungla dominata dalla legge del più forte. La possibilità di fare impresa fa parte della libertà di espressione dell’individuo e come tale dev’essere tutelata e protetta come un diritto inalienabile. I liberali sono una componente necessaria e insostituibile di un sistema democratico, che altrimenti scadrebbe in una dittatura statale, una situazione opposta alla dittatura di mercato ed ugualmente non desiderabile.
Allo stesso modo, il reddito che l’impresa produce non deve essere considerato una colpa o un furto ai danni della società. Gli imprenditori non sono dei criminali da punire, ad esempio, con una tassazione fortemente iniqua come quella che avviene in Italia già da anni.
Bernie Sanders, nella campagna elettorale del 2016 contro Trump, proponeva una tassazione del 52% per chi avesse un reddito annuo elevato (dai 10.000.000 di dollari in su). Se nell’economia sovietica la tassazione sul reddito non fosse stata praticamente inesistente, avremmo potuto dire che è roba da periodo stalinista degli anni Trenta! Non c’è da stupirsi che, pur pieno di ottime idee e validi principi morali, per ben due volte (2016 e 2020) non sia mai riuscito a superare i turni delle primarie democratiche. L’America è fondata non sulle piccole e medie imprese, come l’Italia, ma sulle corporation, che producono la maggior parte della ricchezza del paese, pertanto in molti e a vario livello si sono attivati per fare terra bruciata attorno al leader della sinistra progressista.
Naturalmente la proposta di Sanders trovava il suo senso nel giusto sdegno per il sistema di tassazione americano. A fronte di un’aliquota ufficiale del 35%, le grandi imprese di fatto finivano per versare in media il 20%, e le multinazionali in molti casi ancora meno (10-11%). Se pensiamo che negli Stati Uniti chi ha redditi minimi è comunque tenuto a pagare un’aliquota (fino a $ 9,525 il 10%) perché non ci sono esenzioni se non per i senza tetto, si può comprendere perché buona parte della popolazione contesti questo sistema. Il carico fiscale delle corporation di fatto è ben inferiore a quello che grava sulla classe media, che finisce per essere lo strato sociale su cui cade il peso della contribuzione. Fino al 2017 le persone fisiche con un reddito tra i $ 157,501 e $ 200,000 erano soggette ad un’aliquota del 33%, quelle tra i $ 200,001 to $ 500,000 ad un’aliquota del 35%, e quelle oltre i $ 500,000 ad un’aliquota del 39.6% .
Con la riforma fiscale di Trump, in vigore dal 2018, le persone fisiche hanno visto una lieve riduzione delle aliquote maggiori e un lieve aumento di quelle inferiori, mentre le imprese hanno ottenuto una sensibile riduzione del carico fiscale e ora pagano una flat tax del 21% senza più detrazioni e deduzioni.
La questione della tassazione è complessa, ogni paese ha le sue aliquote, nemmeno l’UE ha una politica fiscale comune e anzi ci sono una serie di paesi, come l’Olanda, che praticano apertamente il dumping fiscale per attirare investimenti esteri e che non vogliono nemmeno sentire parlare di armonizzazione in questo ambito. L’Italia ha, al contrario degli Stati Uniti, un regime fiscale estremamente penalizzante per le imprese (per le società di capitali nel 2018 si è raggiunto il 59,1%) ed è nella classifica mondiale il paese dove la tassazione sulle imprese è più elevata.
Va notato che l’implementazione delle politiche neoliberiste ha distorto il pensiero di Friedman e Hayek sulla necessità di mantenere le tasse basse. L’ultra tassazione è diventata la norma soprattutto nei paesi con debito elevato o che sono stati obiettivo dell’intervento della Troika, come quelli europei, dove le tasse negli anni sono sensibilmente aumentate. Le politiche del rigore in molti casi si sono sostanziate in una diminuzione sì della spesa pubblica (i tagli) ma non in un abbassamento delle tasse. Al contrario, lo stato, nel tentativo di rimpinguare le casse spolpate dal pagamento del debito e per far fronte a spese pubbliche ineliminabili, è intervenuto mettendo mano alla tassazione, che ha colpito soprattutto la classe media e le imprese.
Dunque, la libertà d’impresa va considerata un valore fondamentale di una società democratica. Ma lo stesso vale per la libertà degli individui, che il laissez-faire ha però dimostrato di non saper tutelare, creando invece sacche di povertà e allargando il divario tra i ricchi e i poveri del mondo. il neoliberismo ha tutelato la libertà dell’individuo come libertà da (dagli abusi dell’autorità costituita o di un dittatore, dalla violenza pubblica e privata, ecc.) ma ha conculcato la sua libertà di (di fare, di lavorare per vivere nel benessere, di scegliere un percorso di vita in cui si possa esprimere e che gli garantisca anche il giusto sostentamento), insomma una libertà positiva. Che possibilità ha di esprimere se stesso colui che è costretto a lavorare 10 ore al giorno a testa bassa, e magari anche in un ambito che non gli appartiene, solo per poter pagare l’affitto e le tasse?
La soluzione va trovata in quel punto di equilibrio tra socialismo e liberalismo che massimizza il vantaggio per gli individui e per le imprese. Il primo elemento ha come obiettivo la giustizia sociale, il secondo ha come obiettivo la libertà individuale. Il compito dello stato è realizzare un sistema dove la libertà d’impresa sia garantita, come anche quella di fare profitti, e al contempo i cittadini possano vivere in condizioni di benessere e comunque non al di sotto di un certo standard di dignità e rispetto.