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monica Morandi
La subordinazione della politica alle élite economiche
Le politiche neoliberiste hanno dunque avuto l’effetto di indebolire lo stato ovunque. L’effetto negativo sui diritti fondamentali è evidente: questi non sono più garantiti ma dipendono dalla volontà e dalle decisioni personali di privati facoltosi e di organismi economici sovranazionali. In altre parole, sono lasciati alla beneficienza dei ricchi e dei potenti. In piena emergenza coronavirus, il sistema sanitario di molti paesi è stato messo a dura prova e in vari casi è collassato a causa dei tagli alla sanità degli anni precedenti. In quei giorni, in Italia si è assistito all’intervento di alcuni personaggi famosi, le cui donazioni agli ospedali sono regolarmente finite sui giornali sotto gli occhi dell’opinione pubblica. In alcuni casi i contributi sono stati molto generosi, in altri più che altro simbolici. Ma i diritti non possono essere lasciati alla discrezionalità delle élite, che decidono in base alla loro generosità o convenienza se dare o non dare, e soprattutto a chi e quando dare. È lo stato invece, un organo centrale, che deve promuoverli e farsene carico, distribuendo in modo equo.
Qui entra in gioco la qualità della politica. Abbiamo visto l’importanza di elementi socialisti e keynesiani nell’economia, tradizionalmente promossi dagli ambienti progressisti e liberal, ma il problema è la subordinazione totale della politica alle forze economiche e internazionali. Le contrapposizioni ideologiche destra-sinistra del ‘900 sono finite, la politica in blocco, in tutto il suo spettro parlamentare, è diventata il mezzo principale che garantisce l’applicazione delle politiche neoliberiste nei vari paesi. Non c’è più una reale opposizione, anche quando periodicamente si tengono elezioni nazionali. Lo abbiamo visto in Grecia: Tsipras, il leader della coalizione della sinistra radicale, è stato lo strumento del “compromesso” con il FMI e le élite bancarie, un compromesso il cui baricentro era spostato, neanche a dirlo, pesantemente a favore di questi ultimi.
Quando, dopo una serie di governi tecnici (in realtà di sinistra, europeisti e neoliberisti) inaugurati dopo la caduta del governo Berlusconi IV nel 2011, gli italiani votarono, il 4 marzo 2018, l’Europa, la finanza internazionale e i mercati fecero in modo di controllare gli esiti delle elezioni. Dopo il trionfo del M5S e l’accordo con la Lega, il secondo partito che aveva ottenuto più voti, i due leader Di Maio e Salvini presentarono al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella la lista dei ministri del nuovo governo. Ebbene, Mattarella la rispedì al mittente, mettendo il veto sulla scelta di Paolo Savona come Ministro dell’Economia, tradendo così il suo ruolo istituzionale. Savona, che era stato scelto dalla Lega, aveva posizioni euroscettiche, in particolare per quanto riguardava i parametri di Maastricht del 1992, che aveva riconosciuto essere del tutto arbitrari e antiscientifici, la rigida politica fiscale dell’Unione Europea imposta all’Italia a seguito delle crisi del debito sovrano del 2010-11 e le élite che la dominavano, interessate solo alla salvaguardia di interessi privati. Nel 2015 aveva esortato il governo italiano a preparare un piano B per l’uscita dall’euro in modo che il paese non ne fosse colto impreparato. Insomma, Savona era sostenitore di tutte quelle misure che andavano in senso contrario ai voleri e ai piani dei poteri finanziari europei.
In molti gridarono all’alto tradimento, i vertici del M5S minacciarono l’impeachment, ovvero la messa in stato d'accusa del Presidente della Repubblica, e come loro Fratelli d’Italia. Salvini, dal canto suo, lo attaccò duramente dichiarando che l’Italia non era più un paese libero. A difendere il Presidente c’erano solo il PD e Berlusconi a titolo personale. Ma, com’era prevedibile, tutto si risolse in un bicchier d’acqua, al posto di Savona venne proposto Giovanni Tria, un economista di comprovata fede europeista, e il governo giallo-verde poté finalmente vedere la luce. Di Maio, tra coloro che strillavano più forte contro l’intromissione di Mattarella, a governo formato abbassò immediatamente i toni per poi diventare, più recentemente, un fidato sostenitore del Presidente (addirittura lo chiamò “l’angelo custode” e dichiarò di avere sbagliato a volere l’impeachment).
In quei giorni, però, gli italiani hanno assistito all’ingerenza europea non solo per interposta persona ma anche direttamente, per bocca dei rappresentanti del potere europeo. Verso la fine dei tre mesi di crisi istituzionale che andarono dal giorno delle elezioni alla formazione del governo giallo-verde sotto la guida di Giuseppe Conte, Gunther Oettinger, commissario europeo al Bilancio, dichiarò senza mezze misure: "I mercati insegneranno agli italiani a votare nel modo giusto". Non c’è da stupirsene. I poteri forti sovranazionali sono sempre ben attenti che i nuovi eletti non siano persone che possano concretamente mettere loro i bastoni tra le ruote e sono pronti a far sentire la voce quando questo accade.
Nel corso della sua breve esistenza, il governo giallo-verde ha dovuto moderare le originarie ambizioni antieuropeiste pena l’impossibilità di governare. Dopo una serie di attacchi e la mancata riforma fiscale con l’introduzione della flat tax, nell’estate 2019 si apre una crisi di governo.
Scaricata la Lega e deciso a non andare alle urne, il M5S si accorda con il PD e a settembre 2019 nasce il governo giallo-rosso, sempre sotto la guida di Conte. Il Ministro dell’Economia è Roberto Gualtieri, esponente del PD, un professore universitario di storia che in materia economica si è formato direttamente all’interno dell’Unione Europea dove, a partire dal 2009, ha ricoperto vari incarichi istituzionali anche di natura economica e finanziaria (ha lavorato al MES e al Fiscal Compact).
Il governo Conte II ha mostrato subito, per bocca del non economista Gualtieri, un’acquiescenza totale verso l’Unione Europea. Questo si è visto soprattutto durante l’emergenza coronavirus della primavera 2020, quando Gualtieri, in accordo con Conte e con il PD, ha accettato senza nessuna opposizione ogni decisione europea e particolarmente della Germania e dell’Olanda, ferocemente contrarie non solo ad ogni sorta di contributo a fondo perduto ma anche alla concessione di prestiti a condizioni alleggerite. Dunque per far fronte all’emergenza l’Italia, con il sistema sanitario quasi al collasso, poteva solo ricorrere ad un ULTERIORE INDEBITAMENTO. A livello europeo è stata accettata l'idea di un MES light, ossia senza commissariamento solo a patto che i fondi siano usati per le spese sanitarie legate al coronavirus, spese che saranno rigorosamente verificate dall’UE. Considerato che l’emergenza sembra alla fine e il numero dei ricoveri per Covid è bassissimo, con i soldi del MES light l’Italia può pagare praticamente solo l’amuchina e le mascherine, pena vedersi commissariare come è successo ad Atene.
Non sappiamo cosa sarebbe successo se la Lega fosse stata al governo a gestire l’emergenza coronavirus, ma la fine della sinistra italiana e la sua subordinazione ai poteri forti europei è un fatto ormai incontrovertibile a prescindere da ogni altra valutazione.
La sinistra ha perduto completamente la sua identità storica e si configura oggi come uno strumento dell’alta finanza mondialista. Destinata alla sconfitta con l’avvento del neoliberismo, votata all’estinzione se non alla derisione per le sue idee percepite ora come anacronistiche e vetuste, la sinistra, un po’ ovunque nel mondo occidentale, ha cercato in tutti i modi di stare al passo con i tempi e, con un voltafaccia senza precedenti, di accreditarsi presso i nuovi padroni della finanza e del capitalismo globale sostenendo e attuando politiche contrarie alla propria identità e tradizione.
In Italia, furono esponenti della sinistra a compiere la svolta europea e ad accettare un cambio euro-lira che avrebbe falcidiato la capacità di spesa e il potere d’acquisto degli italiani. Furono esponenti della sinistra gli artefici delle privatizzazioni degli anni ’90 con cui le nostre imprese pubbliche sono state svendute a prezzi da magazzino. Nelle registrazioni di Varoufakis ci sarebbe anche una dichiarazione di Pier Carlo Padoan, esponente del PD e Ministro dell’Economia e delle Finanze sotto i governi Renzi 2014-2016 e Gentiloni 2016 -2018, che ha affermato di aver promosso il Job Acts, una misura che ha condannato i lavoratori italiani alla precarietà, solo per conquistare la fiducia di Wolfgang Schäuble, il potente Ministro delle finanze tedesco che da tempo tuonava contro di lui e l’Italia.
Ormai, le uniche battaglie che la sinistra patrocina con vigore sono quelle dove l’economia non è coinvolta. L’interesse per temi come i diritti di gay e transgender o per la riduzione degli anni necessari per gli immigrati ad ottenere la cittadinanza o per la politica dei porti aperti è andato di pari passo con il disinteresse dei diritti dei lavoratori che storicamente tutelava.
Infine, il neoliberismo ha avuto effetti anche sul piano delle tutele della libertà personale, dimostrando di essere paradossalmente lo strumento con cui si è pervenuti ad un maggiore controllo sociale. Se in epoca post bellica e fino alla fine degli anni ‘70 lo stato dominava le politiche economiche, con la sua ingerenza per realizzare obiettivi di welfare state, oggi lo stato domina nelle politiche del controllo sociale, dimostrando di essere sulla strada giusta per diventare un Grande fratello orwelliano. Lungi dal realizzare una società libera, come credeva Milton Friedman, lo stato al tempo del neoliberismo e nell’era dell’apogeo informatico e tecnologico è diventato ancora più oppressivo.
In Italia, negli anni sono stati introdotti: gli studi di settore, il redditometro, lo spesometro, l’esterometro, il risparmiometro, la fatturazione elettronica. Limiti sempre più alti al pagamento con banconote fino alla proposta di una vera e propria tassazione sul prelievo di contante (settembre 2019), contravvenendo alle previsioni costituzionali che lo dichiara “l’unica moneta legale”. Telecamere ovunque dentro e fuori i centri storici e rilevazione elettronica della velocità sulle strade urbane, interurbane e sulle autostrade. E poi, ancora: l’obbligo per le banche di aprire annualmente i conti correnti dei clienti all’Agenzia delle Entrate e controlli incrociati illimitati di quest’ultima per monitorare gli stili di vita dei contribuenti e verificare se il loro tenore di vita è congruente con i redditi dichiarati. E tutto questo, ci dicono, per combattere l’evasione. “Pagare tutti per pagare meno” è lo slogan ipocrita con cui gli esponenti del PD lasciano intendere ai cittadini che la colpa del dissesto italiano è loro, di quelli tra loro che fanno “i furbi”. E’ dell’idraulico che non paga l’Iva su un imponibile di 60 euro o dell’imbianchino che, dopo aver lavorato 10 mesi l’anno solo per pagare le tasse, acconsente ad un lavoro in nero per potere mettere da parte qualcosa. Sarebbero questi i devastatori dell’Italia.
In particolare l’introduzione della fatturazione elettronica va considerata un insulto ai cittadini italiani, su cui d’ora in poi pesa, sin dalla nascita, la presunzione di essere dei criminali e la cui “naturale” volontà di evadere va arginata con misure forti. Viene meno la previsione di legge della presunzione di innocenza, l’onere della prova è invertito, e ora tocca a loro quindi dimostrare che non è così.
La realtà è che lo stato ha perso completamente la sua forza democratica e non produce più nulla, se non politici vassalli e politiche subordinate agli interessi dei poteri economici e finanziari sovranazionali. La politica è composta ormai senza eccezioni da personaggi dall’animo vile, dalle modeste capacità intellettuali, dallo scarso spessore umano, per lo più interessati alla convenienza personale, e non ha il coraggio di opporsi ai poteri neoliberisti che stanno in alto – di cui anzi è divenuta un prodotto essa stessa – per attuare misure economico-sociali giuste per la cittadinanza. E allora si rifà sugli strati inferiori: per trovare le risorse che scarseggiano vessa ancora di più i suoi cittadini tramite aumenti della tassazione, innalzamento dell’età pensionabile, tagli alla spesa pubblica e misure di controllo sociale, configurandosi come un big government subdolo e totalitario.