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monica Morandi
Conclusioni
Il neoliberismo è il fondamento su cui, da 40 anni, si è retto il potere politico, economico e finanziario internazionale e oggi è ovunque.
E’ nelle università e soprattutto nelle facoltà di Economia, a partire da quelle più importanti e prestigiose, come la Bocconi di Milano, che sforna ogni anno fucine di indottrinati; è nei think tank e nelle fondazioni dei più ricchi del mondo, che elaborano ogni giorno giustificazioni di supporto alle politiche neoliberiste; è nelle istituzioni internazionali come il Fondo monetario internazionale (FMI), la Banca mondiale e l’Organizzazione mondiale per il commercio (WTO), che regolano la finanzia e il commercio internazionale sulle basi della più completa autonomia e indipendenza del capitale finanziario dalle necessità dello stato e della cittadinanza; è nelle neonate unioni politiche di stati come l’Unione Europea, che si è fondata sull’ultra rigore neoliberista con i suoi parametri di Maastricht e ha posto la BCE a cane da guardia della sudditanza degli stati membri; è nelle privatizzazioni selvagge degli anni ‘90 e particolarmente quelle realizzate in Italia, di un’ampiezza senza precedenti, con cui gli assets strategici del nostro paese sono stati svenduti a prezzi da magazzino con la menzogna che gli enti pubblici non erano efficienti quanto il mercato; è nei grandi partiti, sia conservatori che progressisti, ormai assolutamente allineati nelle questioni economiche fondamentali; è, in primis e sorprendentemente, negli esponenti dei partiti cosiddetti progressisti e democratici, ansiosi, pur di restare in gioco dopo la ristrutturazione seguita alla fine della guerra fredda e alla sconfitta dell’Unione Sovietica, di accreditarsi a livello internazionale presso i nuovi detentori del potere come interlocutori affidabili ed efficienti; è nei media e nei canali d’informazione mainstream, soprattutto nei salotti televisivi e nei dibattiti in essi ospitati, dove non si menzionano mai le reali cause che stanno alla base della grave situazione che stiamo vivendo.
Il meccanismo neoliberista più pericoloso è quello che agisce con lo strumento del prestito, facendo leva sul “problema” del debito. All’inizio si concedono prestiti ad un paese con una posizione debitoria medio-alta, i tassi d’interesse sono quelli di mercato e sono generalmente alti perché i paesi con debito elevato sono considerati a più alto rischio d’insolvenza. Il paese entra nel circuito internazionale del prestito e comincia ad essere soggetto al controllo dei creditori internazionali e delle loro agenzie. Ad un certo punto, ci si accorge che il debito di quel paese anziché scendere aumenta e il paese, che non riesce più a far fronte agli impegni presi, rischia di fare default. Ecco che scatta l’allarme e la palla passa alle istituzioni internazionali come il FMI e la Banca Mondiale nel caso dei paesi in via di sviluppo e della Russia, e alla BCE e all’Unione Europea nel caso della Grecia.
Il paese è entrato in una spirale senza uscita. I rappresentanti di queste istituzioni non gli prospettano altra via che un ulteriore prestito per ripagare l’ingente debito, stavolta condizionato all’adozione di pesanti misure interne di austerity (tagli alla spesa pubblica, aumento delle tasse, liberalizzazioni, privatizzazioni…). Il prestito viene direttamente da queste istituzioni e dalle loro agenzie, i tassi sono più bassi di quelli di mercato e l’operazione sembra vantaggiosa. Del resto, il paese non ha scelta. I leader locali cedono. Spesso – non solo quelli dei paesi in via di sviluppo – non hanno né gli strumenti né il coraggio di opporsi ai più forti e meglio equipaggiati esponenti del sistema bancario e finanziario internazionale. Altre volte capiscono che accettando senza fiatare hanno solo da guadagnare sul piano personale.
Ma le misure di austerity, introdotte nell’errata convinzione che il paese riuscirà a realizzare cospicui avanzi primari tali da ripagare il debito, in nessun caso, se non nelle parole menzognere dei responsabili di queste istituzioni finanziarie e dei loro vassalli politici, hanno dimostrato di funzionare ai fini della crescita del paese e del benessere per la popolazione. Al contrario, il paese viene messo in ginocchio da queste misure. Pressato dalle scadenze delle rate di rimborso e vincolato dagli accordi che ha sottoscritto, ecco che deve svendere tutto ciò che possiede. Gli esponenti dell’alta finanzia e del grande capitale si gettano su quei beni e su quegli assets che ora sono disponibili a prezzi da fame.
All’opinione pubblica mondale viene fatto credere che i modesti avanzi primari che il paese riesce a conseguire grazie ai tagli e all’alta tassazione sono la dimostrazione che l’economia di quel paese, grazie ai prestiti e alla buona condotta del governo, finalmente funziona, si sta ammodernando, sta crescendo. Le loro dichiarazioni sono amplificate dai megafoni dei loro scudieri: giornalisti, politici, presentatori televisivi, analisti del mainstream. Per tutti l’operazione di finanziamento è stata un successo. Ora il paese può uscire di scena e nessun media ne parlerà più. Almeno fino alla prossima crisi. Ma il paese reale è devastato e sembra più uscito da un’operazione di guerra che da una di finanziamento.
Come la storia ha dimostrato, il modello economico che invece va applicato per realizzare crescita e benessere e che funziona durante le crisi e nei periodi di recessione è quello keynesiano, basato sull’idea di rilancio della spesa pubblica a debito a sostegno della domanda e dell’economia tutta. La sua importanza, del resto, è dimostrata dalle parole di un gigante della politica monetaria europea, che per anni è stato un alfiere del rigore e dell’austerity e ora sembra voler invertire la rotta: Mario Draghi, l’ex numero uno della BCE.
Draghi, nel suo ultimo intervento al Parlamento Europeo del 23 settembre 2019, ha aperto alla Modern Monetary Theory come strumento da considerare e testare per rilanciare la crescita economica dell’UE, da tempo bassissima. La MMT, oltre a rilanciare lo strumento del debito per sostenere la crescita e creare ricchezza per i cittadini, prevede che la spesa dello stato sia finanziata direttamente dalla sua banca centrale. In questo modo lo stato non deve più andare a prestito dalle banche private, ma consegue la sovranità monetaria.
Ma le parole più significative sono arrivate qualche mese dopo, all’inizio dell’emergenza coronavirus. In una lettera al Financial Times del 25 marzo 2020, Draghi ha dato indirizzi chiari su come la crisi doveva essere gestita, ossia immettendo liquidità nel sistema e non preoccupandosi del debito:
La pandemia di coronavirus è una tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche ed è già chiaro che la risposta deve comportare un aumento significativo del debito pubblico… È il ruolo corretto dello Stato distribuire il proprio bilancio per proteggere i cittadini e l’economia dagli shock di cui il settore privato non è responsabile e che non può assorbire. Gli Stati l’hanno sempre fatto di fronte alle emergenze nazionali… La domanda chiave non è se, ma come lo Stato dovrebbe mettere a frutto il proprio bilancio… proteggere l’occupazione e la capacità produttiva in un momento di drammatica perdita di reddito richiede un immediato sostegno di liquidità… Le banche devono prestare rapidamente fondi a costo zero alle società disposte a salvare posti di lavoro… La velocità del deterioramento dei bilanci privati deve essere soddisfatta della stessa velocità nello schierare i bilanci pubblici, mobilitare le banche e, in quanto europei, sostenersi a vicenda nella ricerca di evidentemente una causa comune.
Qui l’intervento di Draghi nella sua interezza.
Speriamo che queste parole, che sono fiori nel deserto neoliberista europeo, non cadano nel vuoto e che possano inaugurare, finalmente, un indirizzo opposto a quello che fino ad ora è stato dominante.
Monica Maria Vittoria Morandi
(marzo - maggio 2020)
Fonti e approfondimenti
-Ferdinando Fasce, Da George Washington a Bill Clinton. Due secoli di presidenti Usa, Carocci, 2000
-Giuseppe Mammarella, Liberal e conservatori: l'America da Nixon a Bush, Laterza, 2004
-John Maynard Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, Palgrave MacMillan, 1936
-Friedrich von Hayek, The Road to Serfdom, 1944
-Milton Friedman, Capitalismo e libertà, University of Chicago Press, 1962
-Karl Polanyi, La grande trasformazione (1944), Giulio Einaudi Editore, 1974
-Olivier Blanchard, Scoprire la Macroeconomia, Il Mulino, 2005
-David Harvey, Breve storia del neoliberismo, Il Saggiatore, 2007
-AAVV, L’eredità di Margaret Thatcher, Ventunesimo secolo. Rivista di studi sulle transizioni, Anno XIII - ottobre 2014
-Anna Maria Gentili, Il leone e il cacciatore. Storia dell'Africa sub-sahariana, Carocci, 2008
-Roj Medvedev, La Russia post-sovietica. Un viaggio nell'era Eltsin, Einaudi Editore, 2002
-Sulla crisi greca si veda, con i sottotitoli attivati, Laboratorio Grecia https://www.youtube.com/watch?v=Dc3wnEEPMxI
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