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Modigliani, l’artista più contraffatto della storia

Amedeo Modigliani (Livorno 1884 – Parigi 1920) vanta l’interessante primato di essere l’artista più contraffatto della storia dell’arte. Si calcola che su circa 1200 opere attualmente in circolazione, tra musei e collezioni private, solo 337 sono senza dubbio originali, quelle facenti parte del Catalogo Ceroni. Si tratta di 1 opera certamente autentica su 4, un rapporto impressionante: in giro ci sono più falsi che originali!

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Figura 1 - Modigliani nel suo studio a Parigi

Il catalogo, pubblicato nel 1958 dal critico dell’arte Ambrogio Ceroni e aggiornato l’ultima volta nel 1972, rappresenta il primo tentativo di dare ordine al marasma in cui versavano le opere di Modigliani, che già subito dopo la sua morte cominciavano a moltiplicarsi e venivano avvalorate dalla critica anche quando erano palesemente false.

È noto che Modigliani avesse una tecnica pittorica veloce: eseguiva rapidamente i suoi dipinti e terminava in una posa o al massimo due.  Ha dunque prodotto molto e spesso, vista la condizione di quasi indigenza in cui versava, dava via le sue opere per pochi spiccioli o li barattava per un pasto caldo, dei colori, vino e altre necessità. Spesso i disegni non li firmava. Non era dunque inusuale trovare per Parigi famiglie che avessero o una o più sue opere.

 

Cosa ne sia stato di tutte queste non si sa. Vendute, tramandate agli eredi, trafugate, distrutte? Non c’è modo di saperlo con certezza.

 

Questa situazione ha comportato molti problemi per l’autenticazione. Ed è qui che Ambrogio Ceroni entra in gioco, impegnandosi nella produzione di un catalogo ragionato e ponendo i primi e più importanti punti fermi nella confusione che era sorta dopo la morte del grande artista. Il catalogo è consultabile qui.

 

Secondo molti, soprattutto le parti scontente delle conclusioni di Ceroni come collezionisti, mercanti e galleristi, il catalogo è lacunoso perché contenente solo le opere visionate personalmente dall’autore, e all’appello mancherebbero molte opere di certa attribuzione. È una giusta obiezione. È molto probabile che ci siano opere autentiche in mani di chissà chi. Però allo stesso tempo non si può non pensare che siano stati in molti a volere un allargamento perché le quotazioni di Modigliani già dalla fine della seconda guerra mondiale avevano raggiunto valori di mercato molto alti.

Dopo la morte di Ceroni, Christian Parisot emerge come il più autorevole esperto delle opere di Modigliani e la situazione cambia. Nel 1973 entra in contatto con la figlia di lui, Jeanne, e ne ottiene la fiducia, venendo in seguito designato dalla stessa come curatore degli Archivi Legali e persona autorizzata a certificare le opere di Modigliani. Gli Archivi sono stati istituiti nel 1983 da Jeanne, che con il paziente lavoro di una vita aveva raccolto documenti autografi, opere, foto, lettere e testimonianze di ogni tipo che documentavano la vita del padre. Un lavoro dal valore assoluto, perché grazie a esso si sono potute dirimere molte delle controversie sorte a riguardo dell’autenticità delle opere dell’artista.

Jeanne dona gli Archivi alla città di Livorno, che sono inizialmente ospitati nella Fondazione Casa Natale di Modigliani, la signorile palazzina del centro storico dove l'artista è nato.

Parisot, che si scoprirà essere un truffatore e un falsario lui stesso, è responsabile di aver allargato a dismisura il numero dei Modigliani in circolazione, autenticando centinaia di falsi e producendo molti disegni di suo pugno. Ma la cosa più grave che questo squallido personaggio ha fatto è stata spostare gli Archivi da Livorno a Parigi. Ha cioè sottratto un patrimonio di inestimabile valore all’Italia per portarlo in Francia. Da lì l’archivio è stato manomesso più volte e sono spariti centinaia di opere e documenti.

Gli Archivi sono stati recentemente spostati a Roma, con cui Parigi ha creato una partnership (ora si chiamano Archivi Legali Paris-Rome). Per un po’ c’è stata una petizione su change.org, che chiedeva il loro trasferimento a Livorno. Ha chiuso con poco più di 100 firme... Si vede che a Livorno non interessa poi molto riavere il dono di Jeanne.

Parisot, dopo anni di indisturbata attività truffaldina, è stato finalmente arrestato nel 2008 a Parigi con l'accusa di contraffazione e frode per aver venduto alcuni disegni di Jeanne Hébuterne, e poi nel 2012 a Roma, sempre con l'accusa di contraffazione e frode, per aver falsificato e venduto opere a firma Modigliani per un valore di oltre 6 milioni di euro.

Queste le complesse dinamiche che ruotano attorno alle opere di Modigliani. Ciò che non è mai cambiato è la richiesta internazionale, che resta elevatissima: i Modigliani sono sempre più richiesti da vecchi e nuovi ricchissimi: grandi imprenditori cinesi, oligarchi russi post Unione Sovietica, i soliti principi del Medioriente e in generale gli uomini più facoltosi di ogni nazione. Questi signori pagherebbero oro per avere un’opera dell’artista maledetto. E di fatto lo pagano, viste le cifre di realizzo della compravendita.

Da tempo, i quadri dei grandi artisti della storia sono soggetti alla più grande speculazione economica e sono venduti nelle più importanti Case d’aste a cifre da capogiro. Modigliani, assieme a Picasso e Leonardo, sale sul podio degli artisti più quotati di sempre. Il valore esorbitante di questi artisti ha raggiunto il picco negli ultimi anni in aste che sono passate alla storia per la cifra-record raggiunta nella contrattazione.

 

Il 14 maggio 2018 lo splendido Nudo sdraiato sul fianco sinistro di Modigliani (fig. 2) è stato battuto per 157,2 milioni di dollari (compresi i diritti d’asta) da Sotheby’s New York.

Modigliani, Nudo sdraiato sul fianco sin
Figura 2 - Modigliani, Nudo sdraiato sul fianco sinistro, 1917

Solo tre anni prima, nel 2015, un altro bellissimo nudo di Modigliani, il Nudo sdraiato a braccia aperte del 1917 (fig. 3), era stato venduto sempre da Sotheby’s per 170,4 milioni di dollari (compresi i diritti d’asta), configurandosi come l’incasso più alto mai realizzato fino a quel momento dalla Casa.

Anche la frequenza con cui i proprietari si disfano delle opere che acquistano contribuisce ad aumentarne il valore e toglie ogni dubbio sul fatto che, più che opere d’arte, sono considerate prodotti d’investimento su cui lucrare il più possibile. E questo vale naturalmente anche per gli intermediari.

Se pensiamo che nel 2003 il precedente proprietario aveva acquistato il Nudo sdraiato sul fianco sinistro di Modigliani per “soli” 26,9 milioni di dollari, si può capire l’ interesse delle Case d’asta nell’aumentare il più possibile i passaggi di mano e far così lievitare in modo esponenziale i propri guadagni: in 15 anni il valore dell’opera è aumentato della cifra impressionante di 130,3 milioni di dollari e di conseguenza è aumentato l’ammontare dei diritti d’asta, una percentuale che di norma si aggira sul 20-25% del prezzo raggiunto.

Modigliani, Nudo sdraiato a braccia aper

Figura 3 - Modigliani, Nudo sdraiato a braccia aperte, 1917

Al secondo posto c’è Picasso. L’11 maggio 2015 da Christie’s New York Le donne di Algeri (Versione ‘O’) del 1955 è stato venduto per 179,4 milioni di dollari (compresi i diritti d’asta). Questa vendita ebbe un clamore enorme perché costituiva un record storico mai realizzato per un’opera d’arte.

Ma il gradino più alto del podio se lo aggiudica Leonardo da VinciIl 15 novembre 2017 da Christie's New York il Salvator mundi – la cui autenticità è però messa in discussione da molti critici, soprattutto italiani –  è stato battuto per 400 milioni di dollari. La cifra totale che il ricchissimo principe saudita Mohammed bin Salman ha dovuto sborsare per il capolavoro, comprensiva di diritti d’asta, ha superato i 450 milioni di dollari. Ad oggi, è la cifra più alta mai realizzata per un’opera d’arte.

450 milioni di dollari e non si ha neppure la certezza che sia autentico. Vale la pena vedere la contrattazione del Salvator Mundi per avere un’idea di quello che è accaduto (qui il video).

Più di 7 minuti di durata, un tempo brevissimo per la maggior parte delle persone ma lunghissimo per un’asta, che di solito si aggira sui 3 o 4 minuti. Del resto l’esito finale ha giustificato la durata. L’adrenalina palpabile in sala, le urla dei presenti ad ogni nuova offerta, soprattutto quando la cifra ha oltrepassato i 300 milioni, la faccia sempre più sorpresa del banditore, i bidder al telefono sempre più concitati, i fragorosi applausi finali… tutto ha contribuito a fare di quest’asta un evento eccezionale. 

 

Se queste sono le cifre delle opere d’arte oggi e presumibilmente aumenteranno, per giunta con un tasso di crescita altissimo, prevedo che tra una ventina d’anni il loro costo sarà pari al PIL di intere economie... A questo punto neanche i miliardari se le potranno più permettere e diventeranno appannaggio esclusivo di un pulviscolo di persone/famiglie, i più ricchi tra i ricchi del mondo.

Non c’è dunque da meravigliarsi che questo settore abbia attirato tutta una serie di truffatori e mercanti di fumo, e che si sia instaurata una vera e propria attività criminale internazionale che va dalla manovalanza dei falsari ai ricchissimi mandanti passando per tutta una serie di personaggi interni al mercato dell’arte, quali galleristi, curatori di musei, mercanti e, perché no visti i profitti, anche Case d’asta.

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Ma perché Modigliani è così contraffatto? Quali sono i motivi che hanno spinto la criminalità a falsificare in modo privilegiato le sue opere?

Uno dei motivi è senz’altro la loro apparente semplicità di esecuzione. Quadri, disegni e sculture hanno uno stile primitivo con caratteristiche estremamente riconoscibili e pertanto sembrano facilmente riproducibili. Ho sentito diverse persone affermare che, tutto sommato, Modigliani non era un grande pittore perché faceva cose facili che chiunque sarebbe stato in grado di fare.

 

Riconoscibili sì, semplici direi proprio di no.

 

Quella che apparentemente è semplicità non è superficialità – mancanza di profondità – ma la sintesi di un percorso artistico ricco, pieno di sperimentazioni e di ricerca. Il modo di dipingere di Modigliani è un punto d’arrivo, non di partenza, e questo punto d’arrivo comprende e supera tutto il vissuto di una vita. Il bagaglio culturale che aveva alle spalle era complesso. Come ogni artista, era in relazione con le novità, gli ideali, le letture, l’”aria” dell’epoca in cui viveva. Modigliani aveva interessi intellettuali alti, come si evince dalle sue Lettere, di recente pubblicazione. E artisticamente si poneva le domande ultime che ogni artista si pone: sto facendo bene? Come posso esprimermi al meglio? Che direzione voglio prendere? Avrò il riconoscimento che merito?

 

Questo percorso è evidente se paragoniamo le prime opere del soggiorno a Parigi con quelle degli ultimi anni. Specialmente i dipinti del triennio 1916 -1919, che comprendono la maggior parte dei nudi, sono di una bellezza da lasciare senza fiato. Sono incantevoli, pura poesia. Passo intere serate a guardarli tutti ancora e ancora, e ogni volta mi confermano che Modigliani è stato uno dei più grandi artisti che siano passati su questa terra. Senza se e senza ma.

 

Se è vero che la parabola della vita di Modigliani, l’ultimo degli artisti maledetti, è nota, è altrettanto vero che quella della contraffazione delle sue opere è meno nota, e pochi sanno che in realtà Modigliani è stato contraffatto già prima di morire. Era un artista che suscitava interesse, e non c’è dubbio che questo interesse fosse dovuto in parte allo stile di vita. Modigliani appariva come la quintessenza del bohémien parigino, dell'artista inebriato da alcol, assenzio e donne, che viveva per la sua arte, che non si curava della sua salute e non gli interessava affermarsi sul piano sociale.

 

Modigliani in vita non fu mai artisticamente riconosciuto come avrebbe desiderato. Nato in una famiglia borghese, a Parigi viveva in grandi ristrettezze, aiutato in larga parte dal contributo mensile di Léopold Zborowski, amico, committente e mercante d’arte. L’unica mostra in cui aveva esposto era stata chiusa dalla Gendarmeria di Parigi per oscenità il giorno stesso che aveva aperto.

Tuttavia, nell’ultimo periodo della sua vita, era nato un vivo interesse per le sue opere. E questo lo si apprende da Modigliani stesso, che in una lettera a Zborowski datata 1° gennaio 1919 afferma di aver venduto tutti i quadri e che lo champagne scorreva a fiumi. Questo interesse era esploso subito dopo la sua morte e aveva portato ad un aumento della domanda.

È come se la porta del riconoscimento per lui sul finire della vita si stesse aprendo, ma in quella porta non ha fatto in tempo a entrare pienamente perché è morto prima.

Proprio perché la richiesta delle opere di Modigliani ad un certo punto aveva cominciato a salire, giravano falsi già quando questi era in vita. Addirittura, secondo Philippe Daverio (nel documentario Modigliani. Genio e sregolatezza), i primi falsi vennero fatti dal pittore Moise Kisling. Amico di Modigliani, come lui era rappresentato da Zborowski e molto probabilmente fu il gallerista a chiedergli di produrli. Questo rende problematica l’autenticazione tramite analisi chimico-fisiche di materiali e pigmenti, perché questi erano certamente dell’epoca.

 

Da qui e negli anni a venire è stato un crescendo di falsificazioni, alcune delle quali aventi un forte impatto mediatico.

 

È passata alla storia la cosiddetta “beffa di Livorno” del 1984. In occasione dei 100 anni della nascita di Modigliani, il comune di Livorno organizza una grande mostra. Nella convinzione che il concittadino avesse gettato delle teste di pietra nel Fosso Reale, il comune dà ordine di dragarlo. C’è frenesia nell’aria. Gli occhi del mondo intero sono puntati sulla città. Dopo alcuni giorni di intensa ricerca, due teste vengono ripescate e dopo un paio di settimane ne viene ripescata una terza. La città viene invasa da turisti, giornalisti, critici e curiosi provenienti da ogni parte del mondo.

 

Per l’autenticità si pronunciano tutti i più famosi critici d’arte ed esperti dell’epoca, tra cui il più importante di tutti: Giulio Carlo Argan. E poi figure come la curatrice del museo che ospita l’esposizione, Vera Durbé, assieme al fratello Dario Durbé, sovrintendente alla Galleria d’Arte Moderna di Roma. A favore si pronuncia anche la Soprintendenza di Pisa, incaricata di verificare la congruità dei materiali delle sculture ritrovate con quelli di inizio secolo.

Per la falsità si pronunciano solo due nomi: Federico Zeri e Carlo Pepi.

 

Zeri, illustre critico d’arte, dichiarerà molto onestamente di essere stato preventivamente avvertito al telefono: una voce femminile gli avrebbe comunicato che due teste sarebbero state ritrovate di lì a qualche giorno e che si trattava di falsi.

 

Carlo Pepi, tributarista, collezionista ed esperto d’arte, è una figura molto particolare nelle vicende relative alle opere di Modigliani. Da sempre ha costituito una delle poche voci fuori dal coro del mercato e della critica d’arte. Dotato di grande intuito e capacità di osservazione, si è impegnato per tutta la vita a smascherare i falsi e le truffe, riuscendoci sempre. Per volontà di Jeanne Modigliani entra negli Archivi Legali già alla loro fondazione, conosce bene l’opera dell’artista livornese e quando vede le teste recuperate dal Fosso Reale sostiene da subito che sono false.

 

Anche Jeanne Modigliani, avvertita qualche giorno prima del ritrovamento da una misteriosa lettera anonima, ha molti dubbi sulla loro autenticità.

 

Ad ogni modo, proprio quando la città di Livorno, nell’euforia più totale, si prepara ai festeggiamenti, viene rivelata la beffa: tre studenti universitari dichiarano ai giornali di essere gli autori di una delle teste ritrovate. Lo hanno fatto per gioco, come azione goliardica, e lo proveranno in diretta Tv scolpendo una testa identica davanti a milioni di telespettatori. Poco dopo, un artista livornese, un certo Froglia, dichiarerà di aver prodotto le restanti due come azione di denuncia contro il potere d’influenza di critici e media sulle masse.  

È uno smacco duro per tutti: comune, curatori, critici, per chiunque ci abbia messo la faccia. Commentando l’episodio anni dopo, Pepi dirà che la beffa era nell’aria, per via della foga con cui il comune di Livorno si era mosso e la creduloneria in quella che era solo una leggenda – Modigliani, scontento di alcune sue opere, le avrebbe gettate via nel canale. Addirittura, aggiungerà, lui stesso si era fatto fare un paio di teste e aveva chiesto a due militari di Camp Darby di fargli da testimoni, ma alla fine non aveva avuto il coraggio di gettarle nel Fosso Reale.

 

Eppure, non tutto è così limpido e lineare come sembra.

Innanzi tutto, negli anni Froglia rivelerà di non aver agito da solo, come inizialmente aveva sostenuto, ma che erano coinvolte altre persone, tutte del mondo dell’arte e diverse di loro interne al museo che ospitava la mostra. Dirà anche di essere stato da esse strumentalizzato.

Poi ci sono le lettere anonime. Passi per Zeri, che era un personaggio pubblico ed era noto che risiedesse a Roma, ma come faceva l’autore a sapere l’indirizzo della casa di Parigi di Jeanne Modigliani? È evidente che si tratta di qualcuno che non solo era ben informato sull’origine delle teste ma che aveva anche accesso ad una serie di informazioni non pubbliche.

 

Ma la cosa più strana è l’improvvisa morte di Jeanne proprio in occasione dei ritrovamenti. Nella lettera anonima che l’avverte dell’imminente ritrovamento, l’autore scrive anche di avere paura e che gli avrebbero “fatto la pelle”. Chi sono queste persone che gli/le vogliono fare la pelle? A fare così paura non possono certo essere i tre studenti della beffa e nemmeno Froglia.

Jeanne è scossa e non sa cosa pensare, avverte i due più fidati collaboratori, Parisot e Pepi.  Qualche giorno dopo, a poche ore dalla sua partenza per Livorno per visionare le teste, viene trovata esanime e ferita alla testa nella sua casa di Parigi, dopo essere presumibilmente caduta dalle scale. Morirà in ospedale per emorragia cerebrale senza mai riprendere conoscenza. L’autopsia non viene eseguita. La polizia francese apre un’inchiesta che però, senza elementi concreti, verrà presto archiviata.

La morte di Jeanne lascia campo libero a Parisot che, come abbiamo visto, da quel momento viene ritenuto il custode del nome e dell’opera di Modigliani. E da allora si prodiga, senza più ostacoli, in autenticazioni di falsi e falsificazioni delle opere dell’artista che dovrebbe tutelare. Pepi, sempre più in contrasto con lui e avendo ormai la certezza che gli Archivi Legali servono più da sede legale di contraffazione che di tutela, si dimette con atto pubblico nel 1990.

Ad ogni modo, la beffa di Livorno ha raggiunto un obiettivo molto gradito ai falsari e ai loro committenti: neutralizzare il valore della critica sull’autenticità delle opere di Modigliani e, più in generale, dei grandi artisti. I critici, scottati dalla figura barbina che avevano fatto davanti al mondo intero, avevano timore a pronunciarsi ancora ed evitavano di avventurarsi in disquisizioni che avrebbero potuto rovinare la loro reputazione (o quel che ne rimaneva).

Ma la beffa non ha neutralizzato, purtroppo, la proliferazione dei falsi che anzi, in questo contesto di prudenza e paura da parte di critici ed esperti, hanno continuato a spuntare fuori come funghi, del tutto indisturbati. Ne sono un esempio due recenti mostre.

Nel 2017 Palazzo Ducale di Genova ha organizzato una mostra di respiro internazionale dal titolo “Modigliani”. Dopo aver visionato le opere, Carlo Pepi denuncia subito alla Procura di Genova la presenza di falsi, seguito poi dal critico francese Marc Rastrellini, direttore della Pinacoteca di Parigi e fra i massimi esperti dell’artista. La Procura sequestra 21 delle 70 opere esposte, che mesi dopo verranno giudicate “grossolanamente false” anche dal perito del tribunale. Uno scandalo senza precedenti che ha rovinato la reputazione del Palazzo Ducale di Genova e delle persone coinvolte nell’organizzazione della mostra.

 

Nel 2018 a Palazzo Bonocore di Palermo viene organizzata la mostra “Modigliani Experience. Les Femmes”, caratterizzata soprattutto dalle proiezioni multimediali dei capolavori dell’artista ma da sole due opere originali, che quindi sono le due più importanti esposte.  Anche in questo caso è Carlo Pepi il primo a puntare il dito contro i due dipinti, che reputa falsi senza appello e sporge denuncia. Come a Genova, l’analisi chimico-fisica che viene effettuata dal perito del tribunale rivela che si tratta di falsi.  

 

Vediamo nel dettaglio alcuni di questi falsi.

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Sotto (fig. 4), uno dei falsi della mostra di Genova 2017, il Ritratto di Maria, palesemente ispirato a Marie, figlia del popolo del 1918 (fig. 5).

Figura 4 - Un falso della mostra di Geno

Figura 4 - Un falso della mostra di Genova 2017: Ritratto di Maria (c. 1918)

Io mi chiedo quale esperto, critico d’arte o bravo conoscitore della pittura di Modigliani possa pensare anche solo per un secondo che questo quadro sia autentico.

 

È chiarissimo che è un falso. Non c’entra nulla con la pittura di Modì.

Prima di tutto, lo sfondo non è assolutamente nel suo stile. Modigliani usava dare pennellate brevi e corte, molto ravvicinate, molto sovrapposte e quasi sfumate una dentro l’altra. Quelle del falso sono pennellate verticali molto rigide e accostate. Sono lunghe e spezzate. Sembrano fatte con la lama di un coltello. Non c’è nulla dell’armonia e della poesia che esprimono le opere di Modigliani.

I colori dello sfondo, poi, sono diversi da quelli tipici di Modigliani, che non usava affatto la variegata gamma di colori del falso; sembra che il falsario abbia buttato sullo sfondo tutti i colori che aveva sulla tavolozza… Modì aveva una più ristretta gamma cromatica per ciascun quadro.

Il verde (tra uno ftalo e un cromo) abbassato di tono a destra della nuca e sparso qua e là, poi… Quando mai Modigliani ha usato quel tipo di verde e in quel modo nei suoi dipinti?

Ma anche il volto, pur avvicinandosi, non sembra uno dei suoi. Le sopracciglia di diversa grandezza e altezza nell’opera di Modigliani si sposano con il resto del quadro, qua sembrano disegnate apposta così, sembrano artefatte. Gli occhi sono troppo definiti.

Per non parlare dell’escamotage dell’occhio chiaro e dell’occhio scuro, usato solo per farci pensare a Modigliani.

Ma Marie non aveva un occhio di vetro, nessuno dei modelli ritratti con gli occhi di colore diverso l’aveva. Dipingerli in quel modo era una scelta di Modigliani, che a volte e solo a volte esprimeva così il suo bisogno di introspezione. “Con un occhio guardo il mondo fuori da me, con l’altro il mondo dentro di me”, diceva.

Proprio per questo è una particolarità che hanno solo alcuni dei suoi quadri. Se Modigliani avesse fatto davvero un secondo quadro di Marie, non credo avrebbe scelto ancora questa strada, sarebbe stato ridondante ed eccessivo. Jeanne, che è stata dipinta continuamente dal 1917 al 1919, ha gli occhi di colore diverso solo 1 o 2 volte.

 

Nel complesso, è un quadro dai tratti troppo nitidi e definiti. Modigliani lasciava tutto più indefinito, anche solo un po’. Anche nelle opere che hanno i contorni più netti c’è una sorta di indefinitezza, perché comunque si tratta di un definito poetico, sognante, intimo, che quasi ha a che fare con il subconscio più che con la logica della mente. Le sue opere sembrano uscite da un sogno. Nel falso c’è poco di sognante e molto di raziocinante.

Più in generale, il falso vorrebbe ispirarsi all’originale ma finisce per esserne quasi una copia. La posa è la stessa, la testa ha la medesima inclinazione e le due figure praticamente si sovrappongono. La maglietta è sempre quella salvo lo scollo a V. L’espressione di Marie, poi, è la medesima.

Devo dire che il falso mi piace anche, non è assolutamente brutto, e come omaggio al grande artista avrebbe il suo perché, ma non riesce a passare per un autentico Modigliani.

 

Ricordo che quando avevo trovato l’immagine su internet, e ancora non sapevo nulla della contraffazione, avevo pensato tra me e me: <<Carino. Questo pittore si è ispirato a Modigliani.>> Cioè, era chiaro da subito che era il prodotto di una mano diversa.

Figura 5 - Modigliani, Marie, figlia del

Figura 5 - Modigliani, Marie, figlia del popolo (1918)

 

Si potrebbe obiettare che la sperimentazione e la ricerca di nuovi stili sono parte integrante del percorso di un artista.

 

Certo. Che un artista provi e sperimenti, allontanandosi consapevolmente dal suo stile è pacifico, ma non vale in questo caso. Questo falso vuole appartenere all’ultima fase artistica di Modigliani (1918), il cui stile era giunto “a maturazione”. (Uso questa espressone per farmi capire, anche se non sarebbe corretto parlare di maturità per un artista morto a soli 35 anni). Ebbene, nei dipinti di quest’ultima fase Modigliani non si è mai scostato dalla sua mano. Le sperimentazioni, le ricerche, gli allontanamenti li ha fatti invece nelle fasi iniziali. Non c’è dubbio che a fine vita Modigliani non dipingesse così.

Passiamo ai due falsi della mostra di Palermo, Jeanne (fig. 6) e Hannelore (fig. 9)

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Figura 6 - Il falso Jeanne, mostra di Palermo 2018

1) Jeanneocchi, naso e bocca sono piccoli rispetto al volto, e lasciano un mento troppo grosso. L’effetto è di un viso brutto e sgraziato. Di norma, quando Modigliani riduceva/aumentava uno di questi elementi, compensava con gli altri, in modo da riempire il volto in modo equilibrato. E infatti l’effetto finale era bellissimo.

 

Poi, perché Jeanne deve avere una tempia che parte dalla nuca e una guancia tutta gonfia? Per caso Modigliani l’aveva colpita con una mazza perché era una modella indisciplinata e non stava ferma?! 

Il cappello sembra quello del clown di un circo. È maldestro in una maniera quasi grottesca. Sembra che sia stato storpiato per il gusto di storpiare.

L’impressione generale è che tutta una serie di elementi siano posticci, giustapposti. Aggiunti, appunto. Modigliani non giustapponeva affatto, le sue opere erano il prodotto del suo peculiare modo di vedere la realtà, e non c’è nulla di appiccicaticcio in nessuno dei suoi dipinti perché ogni elemento si sposava con gli altri.

 

Oltretutto il quadro è veramente mal tenuto. Cosa ci ha fatto il proprietario, ci ha giocato a frisbee? Lo ha dato alla moglie perché lo usasse come asse da stiro?!

Va bene che c’è bisogno di invecchiare, ma questo sembra uscito dalle Guerre Puniche… La Divina Commedia di Dante, che è del ‘300, è meglio tenuta. Persino l’ambulante di Livorno che aveva le teste di Modigliani, quelle vere, senza sapere che era in possesso di qualcosa che valeva miliardi di lire aveva avuto l’accortezza di tenerle con un minimo di cura.

Ma soprattutto: Modigliani l’aveva già fatto un quadro così. Che bisogno c’era di farlo due volte?

 

Il falso si ispira a Jeanne con grande cappello del 1918 (fig. 7).  È praticamente lo stesso dipinto con qualche elemento modificato (e peggiorativo).

Modigliani non si è mai ripetuto. Nel senso che non ha mai fatto quadri quasi uguali. Potevano esserci tratti comuni, ma mai a tal punto che due opere risultassero interscambiabili, specie se contenevano elementi particolari che definivano il quadro, come l’enorme cappello di Jeanne dalle falde pronunciate.

Lo stesso ragionamento vale per il falso di Genova (fig.4), ispirato a Marie, figlia del popolo (fig.5). Ho già parlato degli occhi di colore diverso. Passando agli altri elementi, anche questo dipinto contiene un tratto distintivo: la sciarpa attorno al collo della ragazza.

Sono pochissime le donne con la sciarpa nella produzione di Modigliani, 3 o 4, e in tutte è diversa, per posizione, lunghezza, grandezza, allacciatura, colore.

Figura 7 - Modigliani, Jeanne con grande

Figura 7 - Modigliani, Jeanne con grande cappello, 1918

 

Quelle del falso e Marie, figlia del popolo, invece, sembrano due sciarpe fotocopia, sono uguali in tutto salvo l’allacciatura da lati diversi. Possibile che Jeanne e Marie avessero così poca fantasia? O più probabilmente è il falsario che ne aveva poca.​

Infine, voglio dire qualcosa sull’abbigliamento (fig.6): io una camicetta con quel tipo di colletto a Jeanne non l’ho mai vista in nessun quadro. E nei ritratti di Jeanne i vestiti sono sempre gli stessi. La questione dei vestiti indossati da Jeanne, dipinta da Modigliani decine di volte, è molto rilevante, ed è una cosa che dovrebbe essere tenuta in considerazione da coloro che cercano di smascherare un falso.

 

Se su 50 Modigliani che emergono sul mercato Jeanne indossa 50 abiti diversi, questo dovrebbe far suonare immediatamente un campanellino d’allarmeJeanne non era una principessa che poteva disporre di un ricco guardaroba con ciò che più le piaceva. Fuggita dalla casa paterna, viveva con Modì in condizioni di povertà e di certo non poteva sfoggiare ad ogni posa un modello nuovo. Ecco perché nei dipinti troviamo gli stessi abiti. A volte Modigliani cambiava il colore. A volte c’era uno scialle a dare una parvenza di diversità.

Guardiamo cosa indossa Jeanne nel falso (fig.6): è la stessa maglia nera dell’originale con l’aggiunta di un colletto bianco, per giunta bruttissimo.

Di colletti Modigliani ne ha fatti a qualche modella (ad es. Ragazza con vestito giallo, La giovane cameriera, Elvira con colletto bianco) e sono tutti graziosi e raffinati. Possibile che invece l’unico che Modigliani dipinge a Jeanne sia stato fatto così male?

Figura 8 - Modigliani, Anna (Hanka) Zbor

Figura 8 - Modigliani, Anna (Hanka) Zborowska, 1917

Figura 9 - Il falso Hannelore, mostra di Palermo 2018

 

Più semplicemente, il falsario l’ha (malamente) preso dal Ritratto di Anna Zborowska del 1917 (fig.8).

il falso Hannelore, mostra di Palermo 20

 

2) Hannelore – questo mi lascia davvero senza parole, è una porcheria tale da fare accapponare la pelle. Un quadro di una bruttezza unica, spaventosa. Se non altro il falso di Genova era piacevole da vedere… Modigliani si starà rivoltando nella tomba al pensiero che lo si sia spacciato per suo.

Comunque: il volto è grezzo e dozzinale, senza nessuna finezza. Una cosa rabbrividevole. Una faccia simile è assolutamente impensabile per un pittore come Modigliani, dotato di un’eleganza e di un gusto estetico innati, gusto ed eleganza che trasudano in ogni suo quadro. Direi in ogni sua pennellata.

Inoltre, la piattezza del collo e delle guance è esagerata. Le figure ritratte da Modigliani possono apparire “piatte” ad un osservatore poco attento, perché prive di un contrasto forte di chiari e di scuri.

In realtà, sebbene Modigliani non abbia mai fatto uso intenso del chiaroscuro, le sue figure sono vive, vibranti. Ci sono splendide dinamiche interne di colori, sapientemente accostati, e pennellate particolari. E questo conferisce alle opere una vitalità intensa, piena.

 

Il falso, invece, è proprio solo piatto, senza nessun movimento. È vuoto. Privo di vitalità. Sembra che chi l’ha  dipinto avesse per riferimento un cartone animato di serie B degli anni’ 60.

C’è poi il problema dello sfondo, che è terribile: Modigliani non ha mai usato un grigio così. L’unico quadro che conosco dove ha usato un grigio simile, ma con ben altri risultati, è il Ritratto di Diego Rivera del 1916, un non finito bellissimo che è forse l’opera più particolare che è arrivata ai giorni nostri.

Lo sfondo grigio del falso è molto freddo e il tentativo di scaldarlo in alcune parti ha l’effetto invece di renderlo sporco. Un colore davvero brutto, che dà una forte sensazione di sgradevolezza. A occhio direi che la base del grigio è ottenuta semplicemente da nero e bianco, una scelta pessima per i neutri perché li rende spenti, quasi sciatti. I neutri di Modigliani invece sono ottenuti dall’unione di colori diversi, complementari o giù di lì, cosa che li rende ricchi e pieni di sfumature.

Anche le pennellate non sono le sue. E questo è evidente soprattutto nella parte grigia della camicia. Si tratta di pennellate molto grossolane, date senza nessun tentativo di armonizzarsi con la figura e solo per creare l’integrazione tra il soggetto e lo sfondo, che in pittura è un dato acquisito.

Infine, Hannelore è un nome di donna, ma a me più che una donna sembra l’amico Soutine e mi ricorda vagamente i suoi ritratti.   

 

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Visto quanto grossolani sono questi falsi, riesce difficile pensare alla buona fede degli organizzatori delle mostre di Genova e Palermo. Appena la bomba è esplosa si sono affrettati a declinare ogni responsabilità, ma come potevano non essersene accorti?

Ho l’impressione che la quantità di falsi Modigliani in circolazione e la difficoltà di riconoscerli ormai legittimi qualsiasi cosa. E così, curatori di mostre, collezionisti e mercanti (quando sono in buona fede e non dei truffatori) in qualche modo si sentono meno responsabili, meno in dovere di fare attenzione a non mostrare qualsiasi cosa passi loro per le mani.

La situazione delle opere di Modigliani è diventata molto seria e questo fornisce una sorta di alibi, specie nei confronti di quelle opere che sono state falsificate per mano dei suoi contemporanei: chi può dire con assoluta certezza che non si tratta di autentici? E allora, se tutto va bene e nessuno solleva la questione della contraffazione non ci saranno problemi, anzi si guadagnerà un sacco di soldi con mostre a richiamo internazionale. Se dovesse andare male ci si può accodare ai truffati e lamentarsi di essere parte lesa. 

Invece, proprio perché i falsi sono tanti, curatori di mostre, collezionisti e mercanti devono essere particolarmente cauti. Devono esercitare la massima prudenza, facendo fare analisi di laboratorio o chiamando in causa chi fino ad ora ha ampiamente dimostrato la propria competenza, come Carlo Pepi ad esempio, che nelle sue valutazioni non ha mai fatto un errore.

Figura 10 - Modigliani, Donna seduta, 19

Figura 10 - Modigliani, Donna seduta, 1916 (Collezione Pepi)

 

Il 2020 è il centenario della morte di Modigliani. Chissà quante mostre e chissà quanti nuovi falsi usciranno per l’occasione, pronti ad essere acquistati dai miliardari per molti milioni di dollari, nella più spensierata illusione di avere per le mani un autentico capolavoro.

Voglio concludere in bellezza e lo faccio con un disegno, autentico (fig. 10).

È un disegno meraviglioso, che racchiude tutto il talento e le qualità artistiche di Modigliani: l’eleganza, la bellezza, la delicatezza, la sensualità, la sicurezza del tratto. Un capolavoro in possesso di Carlo Pepi, che spero – quando il suo proprietario non ci sarà più – trovi la sua giusta collocazione in un luogo che lo onori.

 

Non una collezione privata, ma una pubblica esposizione, perché le persone, vedendolo, comincino a capire cos’è la vera bellezza e imparino a distinguerla dalla sua volgare, mediocre imitazione.

Monica Maria Vittoria Morandi

(novembre 2019)

 

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