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Le politiche keynesiane negli anni ’50 e ‘60

 

    Nel dopoguerra, gli stati europei furono molto influenzati dalle teorie keynesiane, e questo si rifletté soprattutto nel loro assetto. I partiti socialisti che si erano formati alla fine del XIX secolo, e che erano stati protagonisti di un grande percorso di rivendicazione di diritti sociali per i lavoratori, avevano visto crescere sempre di più la propria influenza. Stati come Italia, Francia, Germania Ovest, Belgio, Olanda, Svezia, sin dall’epoca della ricostruzione post-bellica si sono strutturati come democrazie social-liberali, ovvero sistemi misti dove in varia misura figuravano elementi democratici (elezioni periodiche, rappresentanza delle opposizioni in parlamento, possibilità di consultazioni popolari o addirittura, anche se non ovunque, dell’iniziativa legislativa popolare tramite referendum), liberali (tutela della proprietà privata, dell’iniziativa economica individuale e dell’economia di mercato) e socialisti (stato sociale o “welfare state”: interventismo statale in economia, politiche volte alla redistribuzione del reddito, responsabilità dello stato per la sanità, l'istruzione, le pensioni, le opere pubbliche ecc… statalizzazioni e impresa pubblica).

      Negli Stati Uniti, con l’inizio della guerra fredda e lo svilupparsi di un forte sentimento anticomunista – “il pericolo rosso” – la forza e l’influenza degli elementi più radicali del progressismo americano cominciarono a scemare. I primi anni ’50 furono caratterizzati da un clima di vera e propria caccia alle streghe e passarono alla storia come gli anni del maccartismo, dal nome del senatore repubblicano Joseph McCarthy che più di tutti fu attivo nelle purghe e nelle persecuzioni. McCarthy diresse una commissione investigativa creata dalla Camera dei Rappresentanti, il Comitato per le Un-American Activities, con il compito di indagare sull’infiltrazione comunista in tutti gli apparati dello stato, nei media, nel mondo della cultura e del cinema, e di reprimere ogni attività considerata anti-americana.

    I processi, anche alle intenzioni, contro quanti venissero ritenuti troppo radicali si sprecavano. Grande clamore a livello internazionale ebbe l’esecuzione, nel 1953, dei coniugi Rosenberg, accusati di spionaggio al soldo dell’Unione Sovietica.

    Il simbolo delle purghe nell’ambiente cinematografico di Hollywood fu Charlie Chaplin, che pure mai si era professato socialista ma i cui film erano percepiti dai nuovi fustigatori come troppo radicali e fu dunque accusato di filo-comunismo: nel 1952, mentre era a Londra per la prima mondiale di Luci della ribalta, gli fu cancellato il visto e gli fu impedito di rientrare in America. Riparò in Svizzera, a Corsier-sur-Vevey, dove visse fino alla fine dei suoi giorni.

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Renato Guttuso, Ethel e Julius Rosenberg, 1953

    Dunque, in linea con questo nuovo sentire, negli ambienti democratici cominciarono ad affermarsi idee sempre più liberal e meno socialiste o progressiste: si abbandonarono le riforme a forte impronta socialista degli anni ’30, si ritenne sufficiente una minore presenza dello stato nel sistema economico e si cominciarono ad accettare certe forme di deregulation (liberalizzazione).

     Anche le teorie keynesiane vennero in parte riviste. In questo periodo nascono gli economisti neo-keynesiani (Olivier Blanchard, Franco Modigliani) che integrano le teorie di Keynes con i modelli classici e rivalutano la legge di Say: anche se occorre tempo, il mercato può di fatto trovare da solo una nuova stabilità e dunque ritornare in equilibrio anche senza l’intervento dello stato. In presenza di disoccupazione, infatti, i salari si abbasseranno e si abbasseranno anche i prezzi di beni e servizi, ma questo li renderà talmente convenienti che la loro domanda aumenterà, inducendo le imprese ad aumentare la produzione. L’aumentata richiesta di forza lavoro da parte delle imprese riporterà il sistema alla piena occupazione. Conseguentemente lo stato dovrebbe evitare, in linea di massima, politiche monetarie espansive volte ad aumentare il reddito nazionale, che sono misure di breve periodo, perché potrebbero facilmente innescare una tendenza inflazionistica sul lungo periodo.

     Secondo i neo-keynesiani, i meccanismi spontanei che riportano i mercati in equilibrio possono incontrare diversi ostacoli e il compito dello stato è attuare politiche volte a rimuoverli. Uno dei problemi che il mercato, nel suo percorso verso l’equilibrio, potrebbe incontrare riguarda frizioni interne al mondo del lavoro. Ad esempio, in un contesto di forte disoccupazione seguita ad un calo della produzione, i lavoratori occupati, sostenuti dai sindacati, potrebbero opporsi a riduzioni dei salari e costituirebbero un ostacolo alla caduta dei prezzi necessaria a rilanciare la domanda. Ebbene, in questo caso le politiche giuste sono quelle volte a facilitare il naturale percorso del mercato verso l’equilibrio, che possono essere sì misure espansive aventi carattere eccezionale (monetarie e fiscali) ma possono anche essere quelle volte a depotenziare i sindacati e favorire la flessibilità nel mondo del lavoro. Un decennio dopo, per queste loro posizioni, i neo-keynesiani verranno chiamati dai keynesiani puri “keynesiani bastardi”, colpevoli di aver ceduto a compromessi con l’ideologia neoliberista. Gli economisti post-keynesiani si definiranno i veri eredi di Keynes e saranno intenzionati a recuperarne gli insegnamenti con un’attenzione soprattutto alla redistribuzione del reddito e ai diritti sociali, in questo senso configurandosi in realtà come più radicali del maestro.   

     Negli anni ‘70 le teorie keynesiane, nelle loro varie declinazioni, saranno ancora in auge ma non più dominanti e non potranno più sottrarsi al dibattito con le nuove teorie neoliberiste, ormai pronte a sostituirsi alle prime ovunque nel mondo.

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