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monica Morandi
Le politiche neoliberiste nel mondo non occidentale
La Russia post-sovietica
A guerra fredda finita, gli anni ‘90 iniziano con un mutamento statuale molto rilevante. Nel 1991 l’Unione Sovietica si disgrega, le Repubbliche sovietiche acquisiscono l’indipendenza e la Russia emerge a livello internazionale come il nuovo stato forte, anche se economicamente dissestato: subentra nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite al posto dell’URSS e in cambio si accolla i debiti dei paesi satelliti.
A livello interno, Michail Gorbaciov, l’ultimo segretario generale del PCUS, non riesce a terminare il processo di modernizzazione che aveva iniziato negli anni ’80 con la perestrojka e la glasnost, una serie di programmi di riforme che avevano lo scopo di cambiare il paese senza stravolgerne la struttura di fondo. Nell’agosto del 1991, i settori comunisti più tradizionalisti tentano un colpo di stato per prendere il controllo del paese. Gorbaciov è accusato da Boris Eltsin, “riformista liberista” e il suo principale avversario politico, di esserne il responsabile perché i golpisti erano suoi alleati politici. In un clima di forti tensioni, Gorbaciov è messo fuori gioco. Sempre più isolato, il 25 dicembre rassegna le dimissioni e Eltsin prende il potere, diventando il primo Presidente della neonata Federazione russa. Sarà l’uomo chiave della trasformazione economica della Russia post-sovietica in senso capitalista. La trasformazione è attuata di concerto con il FMI, le cui raccomandazioni però non tengono conto della struttura economica russa e della sua peculiarità, e la classica ricetta neoliberista è imposta pedissequamente e senza distinzioni. I due pilastri della politica di Eltsin sono 1) la liberalizzazione dei prezzi di merci, beni e servizi, che per tutta l’esistenza dell’Unione Sovietica venivano stabiliti nei piani quinquennali e 2) la svendita della proprietà statale.
Questo processo di trasformazione dell’economia russa, in atto per tutti gli anni ’90, sarà devastante: a fronte della creazione di un’élite di nuovi ricchi e ricchissimi, gli oligarchi, la grande maggioranza della popolazione pagò come costo un forte peggioramento degli standard di vita, che già non erano alti. Nei mesi successivi alla liberalizzazione, i prezzi, lasciati fluttuare, aumentarono anche dell’800-900% e questo produsse immediatamente un aumento vertiginoso dell’inflazione. La domanda calò bruscamente e le merci rimanevano invendute, la produzione di conseguenza diminuì e molte aziende fallirono. La disoccupazione aumentò, per gli occupati i salari diminuirono e molti lavoratori venivano pagati con forte ritardo. Le entrate fiscali per lo stato si contrassero sensibilmente e i tagli alla spesa pubblica divennero sempre più consistenti, comportando un peggioramento dell’istruzione, della sanità pubblica, della scienza e della cultura. La corruzione cominciò a dilagare ovunque, così come una serie di attività illecite come il mercato nero. Le politiche monetarie adottate, anziché facilitare il credito, restrinsero l’offerta di moneta (vennero aumentati i tassi d’interesse) per cercare di diminuire l’inflazione, e questo ebbe effetti ancora più gravi sulla popolazione ormai affamata e sulle imprese.
A questo si aggiungono i danni, in termini di perdita di profitto per le casse dello stato, derivanti dalle privatizzazioni. Molte imprese pubbliche, come la grossa fabbrica di macchinari pesanti, il colosso industriale delle automobili e i grandi cantieri navali di San Pietroburgo, che erano fonte di introiti sostanziosi, vennero venduti a prezzi da gran saldo. Coloro che acquistarono a queste condizioni di favore erano un’élite di oligarchi o “nuovi russi”, che in pochi anni riuscirono a realizzare ricchezze straordinarie e fino ad allora inimmaginabili.
Alla fine del decennio lo stato, fortemente indebitato sia con l’estero che all’interno, si trovò sull’orlo del baratro, allorché la già grave situazione del paese fu resa ancora più grave dall’aumento dei tassi d’interesse (interni e internazionali) e dalla diminuzione del prezzo del petrolio, la cui vendita costituiva il mezzo principale con cui lo stato pagava i propri debiti. La continua rinegoziazione dei debiti con il FMI e la Banca Mondiale, sollecitata dalle Banche di Wall Street, per ottenere nuovi prestiti, di cui una fetta sostanziosa finì nelle tasche degli oligarchi che li depositarono in paradisi fiscali al riparo dal fisco russo, diede il colpo di grazia e nel 1998 la Russia arrivò al default. A quel punto lo stato intervenne. Su pressione della Duma, Eltsin sostituì il Primo ministro e il Ministro dell’economia con due riformisti dell’era Gorbaciov, che attuarono le misure minime per portare il paese fuori dal baratro. I pagamenti delle obbligazioni a breve termine e i pagamenti dei debiti in valuta estera vennero sospesi e si vietò di assumere nuovi crediti con l’estero.
Dal 1999 ebbe inizio una ripresa economica, dovuta soprattutto alla svalutazione del rublo, che rendeva l’industria russa più competitiva sul mercato internazionale. A dicembre dello stesso anno finì l’era di Eltsin, che si dimise, e si inaugurò quella di Putin, caratterizzata da una molto minore disponibilità a sottomettersi ai dettami delle istituzioni finanziarie internazionali e delle banche occidentali. Putin riportò sotto il controllo statale le risorse energetiche e particolarmente l’estrazione e la distribuzione del gas, un elemento centrale della ricchezza nazionale russa, che tramite le massicce esportazioni ha contribuito progressivamente al miglioramento della situazione economica del paese.
Il nuovo corso intrapreso negli anni da Putin ha avuto come obiettivo restaurare la grandezza della Russia, soprattutto in senso militare, per farne di nuovo un impero, ma anche economico, riaffermando il primato dello stato sull’economia. La politica interna ed estera si è distinta per una tutela forte dell’interesse nazionale senza cedere alle sollecitazioni delle élite occidentali che, a guerra fredda finita, pretendevano con Eltsin di indebolirne la sovranità e di farne un’appendice del proprio sistema, geopolitico e soprattutto capitalistico-finanziario.