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monica Morandi
Le politiche neoliberiste nel mondo non occidentale
L'Africa e il problema del debito
Negli anni ’80 gli effetti negativi dell’applicazione delle teorie neoliberiste furono evidenti soprattutto nelle esperienze dei paesi del Terzo mondo quando, con il ricatto del debito, a queste economie vennero imposti i programmi di aggiustamento strutturale, ossia il FMI poneva come condizione per l'ottenimento dei prestiti l'applicazione di politiche economiche neoliberiste.
Come abbiamo visto, gli anni ’70 sono anni di elaborazione della strategia neoliberista e dell’attuazione delle prime misure nel mondo. Il primo e più importante settore dove si adottarono le liberalizzazioni fu quello del credito e dei mercati finanziari. In quegli anni, le banche d’investimento di New York divennero molto attive nel concedere prestiti a livello internazionale, soprattutto nel prestito di capitali a governi stranieri.
In questo periodo, a causa della difficile situazione interna e delle sfide internazionali post-decolonizzazione (crisi petrolifere, crisi del debito, stagflazione…), i paesi in via di sviluppo erano affamati di credito e furono incoraggiati a chiedere prestiti ingenti, ad alti tassi d’interesse. Tuttavia, dato che i prestiti erano denominati in dollari, aumenti dei tassi d’interesse statunitensi potevano facilmente portare i paesi più vulnerabili all’inadempienza, con gravi perdite per le banche prestatrici. E questo puntualmente avvenne. Dopo l’aumento dei tassi d’interesse deciso dalla FED guidata da Volker, in effetti nel 1982 il Messico risultò inadempiente.
La soluzione adottata dall’amministrazione Reagan per salvare le banche di New York fu semplice: se in un primo tempo si pensò di ritirare il sostanzioso appoggio al FMI, in un secondo tempo ci si orientò per una strategia che unì il potere americano a quello del Fondo e che a lungo termine avrebbe dato frutti (e profitti) maggiori: si spinse per l’ “epurazione” di tutte le influenze keynesiane dal FMI, per la concessione di uno sconto sul debito messicano e, a fronte di questo, per l’imposizione di riforme neoliberiste nel paese. Dopo il 1982 questo trattamento divenne abituale e interessò tutte le economie del mondo.
I PAS o piani di aggiustamento strutturale prevedevano in particolare:
1. la riduzione della spesa pubblica, da realizzare privatizzando le industrie e le risorse di proprietà statale, tagliando le spese sociali, ed eliminando qualsiasi sussidio al commercio e all’agricoltura;
2. l’aumento delle esportazioni di beni e materie prime, incrementando lo sfruttamento delle risorse naturali e incentivando il passaggio da colture di sussistenza a produzioni agricole più industriali;
3. l’eliminazione dei limiti al libero movimento dei capitali, la liberalizzazione dei prezzi e l’aumento dei tassi d’interesse sul credito;
4. la riduzione/eliminazione dei dazi e delle barriere al libero flusso internazionale di prodotti e servizi.
Alla fine degli anni ‘80 la situazione era nettamente peggiore rispetto all’inizio del decennio. Se pensiamo ai paesi dell’Africa Sub-sahariana, queste misure non solo non hanno comportato nessuna crescita economica, ma si sono tradotte in un diffuso peggioramento delle condizioni di vita delle popolazioni, caratterizzato dall’incremento della mortalità infantile e dalla diminuzione del livello scolare dovuti ai tagli alla sanità e all’istruzione, e dall’aumento della disoccupazione dovuta alle privatizzazioni e alla stretta monetaria. Le imposizioni del FMI e della Banca Mondiale hanno aperto il continente alla concorrenza internazionale dei prodotti e delle merci, una concorrenza che molti paesi africani non sono stati in grado di reggere se non svendendo e svalutando.
Le nuove politiche relative all'agricoltura e al commercio hanno dato avvio a forti migrazioni verso i paesi industrializzati e, allo stesso tempo, a processi di urbanizzazione del sud del mondo molto squilibrati, caratterizzati dalla nascita di mega città e di baraccopoli e dalla crescita della povertà urbana.
Di fatto, il debito dei paesi in via di sviluppo è stato il mezzo con cui il capitalismo finanziario d’assalto è entrato in mercati vergini non occidentali.

Lungi dal voler realizzare una vera crescita economica, ha esteso la longa manus nelle economie di quei paesi che nella loro vulnerabilità economica e politica costituivano nuove opportunità di profitto, creando una spirale infernale da cui questi paesi non sarebbero potuti uscire.
Il debito estero, che dagli anni ’80 ha cominciato a crescere in modo esponenziale (si veda il grafico a lato, dal 1976 ai primi anni ’90 l’indebitamento medio dei paesi a sud del Sahara è passato da meno del 30% sul PIL a quasi il 120%), è infatti impagabile, perché il meccanismo che ne sta alla base è volto a impoverire le popolazioni, che non riusciranno mai a raggiungere la crescita e l’arricchimento necessari a ripagare sia l’ingente capitale prestato che gli alti interessi.
Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso e leader molto amato nel continente africano, alzò la voce contro questo scempio, disse ai suoi concittadini e a quelli degli altri stati africani che quel debito, estorto con l’inganno e imposto con la forza del ricatto, non doveva essere ripagato perché ingiusto. Le politiche economiche dei paesi africani dovevano, invece, avere come obiettivo colmare il ritardo nella crescita e nello sviluppo causato da decenni di sfruttamento e dominazione coloniale. Qui si può ascoltare il discorso, uno dei più importanti del secolo, che Sankara tenne il 29 luglio del 1987 ad Addis Abeba, dove si era riunita l’Assemblea dell’OUA – Organizzazione per l’Unità Africana.
Eccone alcuni estratti:
“Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato denaro, sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri stati e le nostre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali, che erano i loro fratelli e cugini.
Noi non c’entravamo niente con questo debito, quindi non possiamo pagarlo. Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici, anzi dovremmo invece dire «assassini tecnici». Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei finanziatori, ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti.
…
Ci dicono di rimborsare il debito. Non è un problema morale. Rimborsare o non rimborsare non è un problema di onore. Quelli che ci hanno condotti all’indebitamento hanno giocato come al casinò. Finché guadagnavano non c’era nessun problema, ora che perdono esigono il rimborso. E si parla di crisi. No, Signor presidente. Hanno giocato, hanno perduto, è la regola del gioco.
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Ci si chiede oggi di essere complici della ricerca di un equilibrio. Equilibrio a favore di chi ha il potere finanziario. Equilibrio a scapito delle nostre masse popolari.
No! Non possiamo essere complici. No! Non possiamo appoggiare quelli che succhiano il sangue dei nostri popoli e vivono del sudore dei nostri popoli nelle loro azioni assassine.
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Non possiamo accettare che ci parlino di dignità. Non possiamo accettare che ci parlino di merito per quelli che pagano e perdita di fiducia per quelli che non dovessero pagare. Noi dobbiamo dire al contrario che oggi è normale si preferisca riconoscere come i più grandi ladri siano i più ricchi.
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Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza! Invece, col sostegno di tutti, di cui ho molto bisogno, col sostegno di tutti potremo evitare di pagare. Ed evitando di pagare potremo consacrare le nostre magre risorse al nostro sviluppo.
…
Facciamo in modo che il mercato africano sia il mercato degli africani. Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa. Produciamo quello di cui abbiamo bisogno e consumiamo quello che produciamo, invece di importarlo. È il solo modo di vivere liberi e degni.”
Sankara pagò con la vita l’essersi rivoltato contro i nuovi “padroni senza volto”: il 15 ottobre 1987 venne ucciso nel colpo di stato, appoggiato da Stati Uniti e Francia, che portò al potere il suo ex-compagno d’armi e collaboratore Blaise Compaoré. Il nuovo presidente riaffermò subito la dipendenza economica della nazione dai creditori internazionali ed eliminò tutte quelle riforme indipendentiste che erano state avviate dal suo predecessore.
Dei presidenti africani che ascoltarono e applaudirono il discorso di Sankara nessuno si rivoltò e il debito rimase. Ma a partire dagli anni ’90 la sua insostenibilità divenne talmente evidente da rendersi necessaria una parziale cancellazione, chiesta anche da numerose organizzazioni umanitarie e non governative che avevano dato avvio al movimento per la cancellazione del debito.
I prestiti, infatti, dagli anni ’80 erano gradualmente diminuiti ma il debito sul PIL continuava a crescere a causa di una serie di fattori: a) il rialzo dei tassi d’interesse deciso dalla FED e dalle banche centrali, che aveva comportato l’aumento dei tassi di interesse sul debito e b) la rivalutazione del dollaro contro la svalutazione delle valute africane, che comportava un aumento dei prezzi dei prodotti e delle merci da cui i paesi africani erano dipendenti e la diminuzione dei prezzi delle materie prime da essi esportate, configurando un aumento dei costi di bilancio e minori entrate per le casse degli stati.
Di fatto, i creditori internazionali sapevano bene che non avrebbero mai più rivisto i capitali prestati e decisero per una rilevante riduzione del debito a fronte di un solido impegno dei governi dei paesi beneficiari nella restituzione di quanto rimaneva e a condizione che questi dimostrassero di raggiungere determinati livelli di efficienza nella lotta alla povertà.
Ad oggi ben 32 paesi africani hanno beneficiato delle iniziative messe in atto dal FMI e dalla Banca Mondiale, l’Heavily Indebted Poor Country (HIPC) istituita nel 1996 e la Multilateral Debt Relief Iniatitive (MDRI) istituita nel 2005, che hanno notevolmente ridotto la loro esposizione e hanno fatto scendere il rapporto debito/PIL dal 110% nel 2001 al 35% nel 2012, un livello inferiore a quello di molti paesi dell’eurozona.
Dal 2013, però, a causa delle conseguenze della crisi economica e finanziaria del 2008, il debito ha cominciato nuovamente a crescere, così come sono tornati a crescere gli interessi, che dal 5% nel 2012 sono passati al 10% nel 2017, riassestandosi ai livelli di fine anni ’90 inizio 2000 e rendendo più veloce l’accumulo di nuovo debito.