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monica Morandi
Le politiche neoliberiste nel mondo non occidentale
La rivoluzione neoliberista non ha riguardato solo il Regno Unito e gli Stati Uniti, ma ha raggiunto, in vario modo, anche le economie dei paesi non occidentali.
Il Cile di Pinochet e dei Chicago Boys
Il primo esperimento, sulla base del quale verranno modellate le politiche neoconservatrici nel mondo industrializzato e non, fu il Cile. I cosiddetti “Chicago boys", protagonisti della ristrutturazione economica del paese in senso neoliberista, erano giovani cileni che si erano formati alla Scuola di Chicago sotto la guida di Milton Friedman. Augusto Pinochet, dopo aver preso il potere l’11 settembre 1973 con un golpe sanguinoso e con il sostegno degli Stati Uniti, assunse i giovani economisti nel Ministero dell’Economia. Lo stesso Friedman incontrò il dittatore più volte a sostegno dell’operato dei suoi allievi.
Le riforme economiche, attuate in sinergia con il Fondo Monetario Internazionale, riguardarono: la revoca delle nazionalizzazioni del governo Allende e la privatizzazione di molti beni pubblici, due misure che aumentarono di molto la disoccupazione a causa dell’eliminazione di molti impieghi nei vari settori di pertinenza dello stato; forti tagli alla spesa pubblica (sanità, istruzione) ma aumento delle spese militari; la privatizzazione del sistema delle pensioni; la possibilità di sfruttare le risorse naturali del paese (pesca, legname ecc.) senza regole e senza nessuna considerazione per i diritti delle popolazioni locali; forme di deregulation per agevolare gli investimenti stranieri e il libero scambio.
Nonostante il livello di vita della popolazione si fosse notevolmente abbassato e nonostante un iniziale crollo del PIL, queste misure portarono alla tanto desiderata crescita economica – il miracolo cileno: nei primi anni dopo il trattamento shock, dal 1975 al 1981, il PIL del paese aveva preso a salire ad un tasso tra il 5% e il 10%. Tuttavia questa situazione non durò e nel 1982 scoppiò una spaventosa crisi economica: il debito pubblico esplose, il PIL si ridusse fortemente, la disoccupazione raggiunse il 30%, l’inflazione salì in modo esponenziale e raggiunse livelli più alti di quella ai tempi di Allende. A questo si aggiungevano le atrocità e le sistematiche violazioni dei diritti umani ai danni della popolazione cilena, per cui Pinochet sarebbe infamemente passato alla storia, e che sembrava non preoccupassero troppo i campioni della democrazia occidentale, soprattutto quella americana.
L’esperimento cileno fu molto importante ai fini della svolta degli anni ’80, perché insegnò ad applicare le misure neoliberiste in maniera più pragmatica e meno ideologica. Negli anni a venire, comunque, molti analisti hanno ridimensionato il peso delle politiche neoliberiste nella crescita economica degli anni ‘70: l’aumento del PIL era dovuto in buona sostanza all’aumento delle esportazioni di rame, l’unico settore non privatizzato da Pinochet, che da solo costituiva l’85% delle esportazioni e che evitò il collasso completo del paese a seguito della crisi.
La Cina apre al capitalismo
Nel 1978 un evento importantissimo avrebbe avuto profonde ripercussioni sugli equilibri di potere economico a livello internazionale: la Cina comunista apre al capitalismo, dando avvio ad una rivoluzione economica che in due decenni permetterà al paese di trasformarsi, da arretrato e chiuso verso l’esterno, in una potenza economica con tassi di crescita senza precedenti nella storia. Se sul piano delle libertà individuali e dei diritti sociali la Cina non è certo un modello da seguire, è un fatto che sul piano economico e finanziario è oggi il nuovo centro del dinamismo capitalista internazionale.
Il fautore di questa trasformazione fu l’influente membro del Partito comunista cinese e leader del paese Deng Xiaoping che, nel dicembre del 1978, con la politica delle porte aperte intraprese la strada delle liberalizzazioni, dell’apertura agli investimenti stranieri e dell’introduzione dell’economia di mercato per attuare quella che veniva chiamata economia socialista di mercato.
L’intervento statale era e sarebbe rimasto ancora a lungo predominante, ma Xiaoping intraprese molte riforme e un processo di modernizzazione dei settori più importanti del paese: agricoltura, industria, scienza e tecnologia e apparato militare. Il sistema agricolo comunale fu gradualmente smantellato e ai contadini venne concessa la libertà di vendere i propri prodotti sul mercato. Alle famiglie venne concessa la possibilità di prendere la terra in affitto, la cui proprietà restava comunale ma poteva andare in eredità alla propria discendenza. In campo industriale, venne incoraggiata la formazione di imprese private, anch’esse con la possibilità di operare sui mercati. Per accreditarsi agli investitori internazionali, si costituì un “mercato del lavoro” con la possibilità per i dirigenti di licenziare i dipendenti, fino a quel momento garantiti da rapporti a tempo indeterminato, o di assumerli con contratti a termine. Da nemici del popolo, i ceti medio-borghesi erano diventati una risorsa per l’economia e dunque il loro ruolo veniva apertamente incoraggiato. Allo stesso modo, venivano promossi gli ideali del profitto e della ricchezza.
Naturalmente la crescita dell’economia cinese non avvenne senza costi: a fronte dell’arricchimento di alcune fasce della popolazione, molte altre si impoverirono sempre più e particolarmente i contadini, che ora costituivano manodopera a bassissimo costo e con meno tutele, che a seguito dell’ammodernamento del settore agricolo avevano perso il lavoro e avevano dovuto trasferirsi nelle città a vivere in condizioni di miseria.