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Il neoliberismo va a svantaggio dei diritti e delle libertà dei popoli

 

    Alla fine di questo excursus il giudizio che si può dare sul neoliberismo è senz’altro negativo. I vantaggi economici e sociali che avrebbero dovuto conseguire all’implementazione delle politiche neoliberiste sono rimasti sulla carta e ciò che la loro applicazione ha prodotto nella realtà è stato, invece, un impoverimento generale del paese e un netto peggioramento della qualità di vita della popolazione.

    Le autorità politiche e monetarie, nel perseguire le finalità della stabilita dei prezzi e del contenimento dell’inflazione, sono state cieche di fronte alle sofferenze dei cittadini e al progressivo deterioramento del loro tenore di vita causate dalle politiche del rigore. I governanti, in particolare, si sono spesso vantati di aver ridotto il deficit di bilancio, chiuso in pareggio o realizzato un lieve surplus, volendo dimostrare di essere virtuosi senza mai menzionare a quale costo quei risultati sono stati raggiunti.

    Eppure, IN NESSUN CASO, nemmeno in presenza di avanzi di bilancio, LE POLITICHE NEOLIBERISTE HANNO PRODOTTO UNA RIDUZIONE DEL DEBITO PUBBLICO. Anzi, in molti casi hanno portato ad un suo aumento. L’Italia, ad esempio, che ha un elevato debito pubblico, ha i conti in ordine da molti anni: è in avanzo primario e il tetto del 3% debito/PIL è sempre stato rispettato (tranne che sotto il governo Berlusconi IV, dove per un paio d’anni si sforò e si raggiunse il 5%). Il debito è formato ora più che mai dagli interessi sul debito, cioè dal costo del denaro che gli stati sono costretti a prendere a prestito, e questo rende il debito irripagabile. La vicenda dei paesi del Terzo mondo è esemplificativa. Il loro debito, dopo molti anni di politiche di austerity, è stato alla fine parzialmente cancellato ma più recentemente è tornato a salire e anche gli interessi sono aumentati.

     È ormai chiaro che più debito si contrae e peggiore, nel tempo, sarà la situazione del paese: chi accetta un prestito viene costretto, da forze nazionali e internazionali, a farsi carico del costo del rimborso dell’ingente debito a interessi elevati, quali che siano le conseguenze per la sopravvivenza e il benessere della popolazione interna. Addirittura il paese, non sapendo più come ripagare il debito, ad un certo punto è costretto a mettere sul mercato (internazionale, ovviamente) i suoi assets strategici e le sue risorse e vederseli portare via da società straniere a prezzi di svendita.

     Agli svantaggi per le masse, però, sono corrisposti grossi vantaggi per le oligarchie, non solo occidentali. Il neoliberismo, infatti, ha rafforzato il potere e la capacità d’influenza dei ceti alti e dell’élite economica e finanziaria dei paesi a capitalismo avanzato. In occidente, la ricetta neoliberista ha aperto opportunità a chi già era ricco favorendo un ulteriore arricchimento, ha quasi distrutto la classe media e ne ha eroso il potere d’acquisto e la capacità d’influenza, e ha allargato la maglia della povertà.

     Contemporaneamente i signori dell’alta finanza, come predatori, si sono avventati sulle economie dei paesi in via di sviluppo prelevando i loro surplus di bilancio, realizzati a sacrifici altissimi per le popolazioni con le politiche di austerity, attraverso i flussi internazionali e le pratiche di aggiustamento strutturale. A livello internazionale il neoliberismo è stato lo strumento con cui si è pervenuti ad una concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi tramite lo spostamento di risorse dal sud al nord del mondo, non a beneficio dei paesi occidentali, anch’essi impoveriti, ma delle élite finanziare dominanti di quei paesi.

    In tutto questo va sottolineato il ruolo deteriore di istituzioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e, in Europa, di autorità monetarie come la Banca Centrale Europea, la cui funzione dichiarata è quella di controllori ed equilibratori del sistema finanziario e monetario. Queste istituzioni in occidente godono di larga credibilità, ma in realtà si sono rivelate uno strumento potente nel distruggere le economie dei paesi in cui sono intervenute, mostrandosi ostili alle popolazioni di quei paesi, con obiettivi che le qualificano quasi come un “nemico del popolo” e puntando invece a salvaguardare gli interessi dei più ricchi del mondo e particolarmente dei banchieri.

     Recentemente sono arrivate all’attenzione pubblica le agghiaccianti dichiarazioni del tedesco Klaus Regling, direttore generale del MES, che l’ex Ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis avrebbe registrato di nascosto a un meeting dell’Eurogruppo nel 2015. Ebbene, in esse si sente Regling affermare che pur di pagare le rate al FMI, che andavano a ricapitalizzare le banche private del paese e di conseguenza quelle tedesche e francesi, loro creditori, la Grecia non doveva pagare le pensioni ai suoi cittadini e che poteva quindi lasciarli morire di fame. 

     Varoufakis ha recentemente pubblicato sul sito del suo partito, Diem25, le trascrizioni delle registrazioni dei suoi incontri con l’Eurogruppo nel corso del 2015, durante i quali è stato discusso il piano di salvataggio della Grecia. Qui l’intervista al giornalista Francesco Amodeo che per primo ne ha parlato in Italia. 

   Questo è l’Eurogruppo, un organo informale e mai disciplinato dai trattati che riunisce i Ministri dell’ Economia dei paesi dell’Eurozona ma con poteri decisionali elevatissimi, dominato da gente senza scrupoli e senza umanità; e questa è l’Unione Europea neoliberista, un’unione antidemocratica dove le misure vengono imposte dall’alto a seconda dell’opportunità e della convenienza dei più forti nel disprezzo totale delle cittadinanze e del loro benessere. E’ chiaro che le istituzioni e le autorità a guardia del capitalismo finanziario sfrenato non hanno nessuna etica e nessun rispetto della vita umana, che per loro può dunque essere anche spesa in condizioni al di sotto della sussistenza e senza dignità.

    Il fallimento della democrazia nei regimi neoliberisti è un tema importante. Il neoliberismo è antidemocratico per natura perché si impone a discapito delle volontà dei cittadini e dei loro diritti, diritti che in occidente sono sanciti nelle Costituzioni dei paesi grazie alle lotte che nella storia proprio i cittadini hanno condotto per rivendicarli e ottenerli.

     Lo strumento con cui il neoliberismo ha potuto calpestare i valori democratici è stato indebolire l’autorità e la forza dello stato. Trattati come il CETA, ad esempio, che regola l’accordo di libero scambio economico tra Unione Europea e Canada, e il TTIP, che regola l’accordo di libero scambio economico tra Unione Europea e Stati Uniti, sono un potente strumento in mano alle multinazionali e alle grandi imprese contro uno stato forte, democratico, regolatore, che possa mettere un freno al loro potere o impedire loro di realizzare grossi profitti. I due trattati mirano a creare un mercato interno tra le macro aree interessate senza dazi e dogane, in modo da rendere più fluidi e veloci i flussi commerciali di beni e servizi. Le regole di scambio all’interno di queste aree non sono più determinate dalla politica degli stati (o quel che ne resta) in modo democratico, ma stabilite da organismi tecnici sovranazionali opportunamente scelti, che agiscono sulla base delle esigenze dei grandi gruppi transnazionali.

     Come si legge sul sito del movimento Stop TTIP Italia, l’accordo TTIP renderebbe possibile per una qualsiasi impresa con sede in Europa o in Usa, che si sentisse lesa nei suoi diritti, citare in tribunale gli opposti governi “qualora democraticamente introducessero normative, anche importanti per i propri cittadini, ad esempio a salvaguardia del clima e della salute, che ledessero i loro interessi passati, presenti e futuri.” E non in un tribunale ordinario statale, ma in quello formato da un gruppo di avvocati specializzati. Se questo tribunale speciale dovesse giudicare lo stato colpevole, questo sarebbe costretto a modificare la normativa introdotta e a indennizzare l’impresa per i danni subiti, con conseguente costo a carico dei contribuenti.

    Il TTIP non è entrato in vigore perché non è stata raggiunta l’unanimità in seno all’UE per la sua approvazione, mentre il CETA è entrato in vigore nel 2017 in via provvisoria, in attesa della ratifica di tutti gli stati membri. L’Italia non ha ancora ratificato per l’opposizione di svariati parlamentari, soprattutto del M5S, ma la ministra delle politiche agricole Teresa Bellanova del PD ha dichiarato che il CETA è una grande opportunità perché protegge i marchi alimentari e agricoli italiani dalla contraffazione e ha aperto alla ratifica. In verità i marchi tutelati sono molto pochi (solo 41) rispetto alla grande quantità dei prodotti di eccellenza italiani IGP, DOP, DOC e IGT e c’è da chiedersi in cosa dunque consisterebbe, secondo questa signora, la reale protezione del Made in Italy garantita dall’accordo. Inoltre, il trattato ridurrebbe gli standard di sicurezza alimentare per via della massiccia dipendenza dell’agricoltura canadese da additivi chimici e Ogm, su cui il nostro paese non avrebbe più alcun controllo.

     I cittadini italiani e i politici che ancora hanno a cuore le sorti del nostro paese devono stare in guardia, non solo nei confronti del CETA, la cui ratifica incombe, ma anche nei confronti del tramontato TTIP perché il pericolo di un suo ritorno è concreto. È prassi del potere aggirare gli ostacoli e riscrivere e rinegoziare ciò che vuole imporre in altra forma, meno pubblicizzata e più appetibile ai palati democratici.

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